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mercoledì 31 dicembre 2014

IT'S CHRISTMAS TIME PARTE 2: UNA VOCE #9

DISCLAIMER:
È assolutamente vietato copiare il contenuto dei post incentrati sulle mie storie. Tuttavia potete copiare la sinossi e condividere sui vostri blog la data d'uscita dei capitoli successivi.

Per leggere i capitoli della prima parte, clicca qui.

Per leggere l'ottavo capitolo di It's christmas time parte 2, clicca qui.

"L'ultimo capitolo non farò in tempo a postarlo il 6 gennaio, perché l'ho appena comminato a scrivere.
A gennaio ho deciso di continuare l'altra storia ACROSS THE TIME, perché è davvero tanto tempo che non posto un nuovo capitolo. Adesso, so come portarla avanti, ed è una cosa davvero bella e originale.
SE TI E' PIACIUTA QUESTA STORIA, CONDIVIDILA, PER FARLA CONOSCERE ANCHE AI TUOI AMICI.
Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Non perdete il DECIMO CAPITOLO, A GENNAIO"

CAPITOLO 9: UNA VOCE

Avevano finito di fare il giro del mondo, era stato faticoso entrare di casa in casa. Ve lo immaginate quante case ci sono nel mondo?; tantissime, infinite e se le contassi, rischieresti di sbagliare e di perdere il conto.
Era già da tantissime ore che viaggiavano, il cielo era sempre stato bello, privo di nuvoloni scuri e minacciosi, di pioggia o addirittura di temporale.
Durante il viaggio, continuavano a darsi il cambio nella guida della slitta, perché, dopo un po’ di tempo, non riuscivano a rimanere svegli e a capire quale era la strada che dovevano percorrere.
Ora, davanti a loro vedevano il sole che stava sorgendo. Erano forse le sette o le otto, non sapevano nemmeno loro che ora era.
Henry stava seduto e immaginava il sorriso dei bambini e di tutte quelle persone che di li a poco, avrebbero aperto quei regali.
Anche quest’anno aveva salvato il natale; doveva essere felice e in parte lo era.
Come poteva essere felice nella situazione in cui si trovavano; nessuno al suo posto sarebbe stato felice.
Da lontano videro la casa di Claus, che era così piccola da sembrare un puntino.
Dopo una decina di minuti, arrivarono vicino alla casa di Claus e cominciarono a fare la manovra d’atterraggio. Non appena la slitta toccò il suolo, continuarono ad andare avanti per qualche metro, lasciando dietro di loro delle impronte sulla neve.
Quando la slitta si fermò, s’accorsero che davanti a loro c’erano degli elfi che erano pronti a prendere in consegna la slitta e le renne.
Scesero dalla slitta e dopo aver aperto il cancello e la porta, si trovarono di fronte ai loro genitori sorridenti. Erano seduti al tavolo a sorseggiare lentamente, la loro tazza di caffè e latte.
Non appena li videro entrare, poggiarono le tazze sopra il tavolo e gli sorrisero.
S’alzarono dal tavolo e incominciarono ad abbracciarli uno per uno.

Nel frattempo, gli elfi avevano portato la slitta nel giardino di Claus, facendola spingere alle renne. Dopo, si misero a pulirla e infine, la portarono fino al garage.
Altri elfi, avevano preso le renne per le brighe che le tenevano unite e le avevano condotte fino alla loro stalla.
Si vedeva che erano molto stanche. Non appena arrivarono dentro la stalla, gli elfi riempirono due ciotole, una con il loro cibo e l’altra con l’acqua fresca. Si misero subito a mangiare e poi a bere. Si sdraiarono per terra e s’addormentarono tra la paglia.
Gli elfi lo capivano: anche le renne sentivano l’assenza di Claus; loro non parlavano, ma si facevano capire nel loro linguaggio, con il suono dei loro versi e quell’espressione cupa.

I ragazzi si sedettero al tavolo, nell’attesa che l’elfo cuoco gli preparasse la colazione. Nel frattempo, i ragazzi si misero a raccontare il viaggio che avevano fatto la scorsa notte, ai loro genitori, alla Befana e a Sulac.
Gli raccontarono tutte le emozioni che avevano provato, anche se in fondo un emozione del genere è difficile da spiegare. Gli raccontarono di come era stato bello visitare tutto il mondo in una sola notte.
Henry se ne stava zitto e ascoltava in silenzio quella conversazione.
«È stato bello, però allo stesso tempo, non è stato bello come l’anno scorso. Mancava Claus e anche se, senza di lui, siamo riusciti a orientarci senza perderci». Henry sorrise, poi guardò in faccia ognuno di loro.
«Mancava Claus, il suo spirito. Non è stata la stessa cosa, c’era un posto vuoto in quella slitta. E non intendo soltanto il posto a sedere. Mancava il collante del natale e per quanto voi mi abbiate scelto per prendere il suo posto, io non credo di essere stato all’altezza». Disse ancora Henry.
«Io, invece credo che tu sia stato all’altezza. Saresti un ottimo Babbo natale in futuro». Gli disse William con un sorriso.
«Davvero?».Gli chiese Henry.
«Certo». Gli rispose William.
L’elfo gli portò le tazze piene di latte e dopo averci aggiunto un po’di zucchero, di caffè e una manciata di cereali, incominciarono a fare colazione.
Dopo, quando ebbero finito di fare colazione, salirono le scale, fino a raggiungere le loro camere.
Avevano così tanto sonno, che gli sarebbe bastato appoggiare la testa sopra il cuscino per addormentarsi e sognare un natale diverso da quello che avrebbero festeggiato all’ora di cena, una natale in  cui ci sarebbe stato anche Claus.
E questa la magia del sogno, immaginare qualcosa che vorremmo e che nella realtà, non potremmo mai avere.
Andarono in bagno a lavarsi la faccia e i denti e quando ritornarono in camera, si misero subito a letto e dopo pochi minuti, s’addormentarono.

Nel pomeriggio tutti quanti si erano riposati, giocando a carte e aiutando l’elfo cuoco a preparare la cena di natale. Dopo cena avrebbero scartato i regali.
Questa volta Henry non sognò Claus, anche se avrebbe voluto vederlo per sapere come stava.
Intorno alle sette, i loro genitori li andarono a svegliare. Quando entrarono in camera li videro ancora addormentati; erano così belli quando dormivano. Avrebbero potuto guardarli per ore, ma li dovevano svegliare, perché era già pronta la cena.
Così, li svegliarono scuotendogli piano piano per le spalle. Non appena loro si svegliarono, aprirono gli occhi, stirarono le braccia verso l’alto e incominciarono a sbadigliare.
S’alzarono dal letto e si vestirono.
La Befana, invece, andò a svegliare le ragazze e poi Gabriel.

Si ritrovarono tutti quanti in cucina, dove un profumino davvero delizioso gli stava facendo venire l’acquolina in bocca.
L’elfo cuoco aveva apparecchiato in un modo davvero elegante. Aveva messo una tovaglia rossa che era ricoperta con pigne, vischio di colore dorato, che risaltavano molto a contrasto con il rosso della tovaglia.
Aveva messo tutti i piatti: quello steso per il secondo e sopra la scodella per il primo. I piatti riprendevano il disegno della tovaglia.
Le posate, le aveva messe seguendo l’ordine del galateo e davanti ai piatti c’erano dei bicchieri.
Al centro della tavola, c’era un candelabro con delle candele rosse e in torno una ghirlanda fatta con pigne, agrifogli e vischi.
Quando l’elfo cuoco li vide entrare, li salutò tutti quanti con un sorriso. Tutti quanti si misero a sedere e l’elfo cuoco, spense la luce centrale, per lasciare accese soltanto quelle che percorrevano il bancone della cucina. Dopo, accese le candele che si trovavano al centro del tavolo; al buio, quelle candele rendevano quell’ambiente davvero suggestivo.
L’elfo cuoco portò in tavola l’antipasto di polenta fritta con sopra la salsa di funghi e degli assaggi di prosciutti e formaggi.
Quando finirono di mangiare l’antipasto, portò in tavola il primo di lasagne e cannelloni con ricotta e spinaci.
E come secondo, fece li per li, la carne alla brace, insalata mista e patate arrosto. Infatti, uscì fuori di casa per preparare la carne alla brace.
C’era un posto vuoto in quel tavolo, nessuno aveva voluto occupare il posto a capotavola di Claus.
Mangiarono anche il dolce che l’elfo cuoco aveva scaldato dentro al forno; era davvero buono e si sentiva che era fatto in casa.
Stapparono lo spumante e il tappo saltò per aria, dopo, lo misero dentro i bicchieri di cristallo. Nel momento di fare il brindisi, si guardarono tutti quanti e anche se non dissero il loro desiderio ad alta voce, sicuramente tutti quanti avevano pensato che avrebbero rivoluto avere Claus lì con loro a festeggiare il natale.

Quando finirono di mangiare, i ragazzi andarono in sala a guardare un film natalizio, adoravano la saga di “Mamma ho perso l’aereo”; ma chi non l’adora quel film.
L’elfo cuoco, i suoi assistenti, i genitori di Henry, la Befana e Sulac rimasero a pulire la cucina.
Dopo, quando finirono di pulire e la cucina era ritornata bella e risplendente, raggiunsero i ragazzi nella sala.
I ragazzi avevano spento le luci, per fare in modo che le lucine che avevano messo attorno all’albero di natale, rendessero quell’ambiente ancora più suggestivo.
Si misero a sedere sul divano e sulla poltrona, mentre i ragazzi si erano già messi sopra il tappeto che si trovava di fronte all’albero di natale.
Così, incominciarono a scartare i loro regali e mentre, ognuno di loro metteva in un angolino quello che aveva ricevuto, dietro di loro si stavano formando delle montagne di carte, che con il passare dei minuti, si stavano sempre più accumulando.
In parte erano felici e in parte non lo erano; quanto avrebbero voluto trovare Claus sotto l’albero; già, ma Babbo Natale, non può fare i miracoli. Ci speravano ancora, sapevano che Claus sarebbe ritornato a casa, l’avrebbero riabbracciato, perché, alla fine di tutto, il bene trionfa sempre sul male.

La mattina dopo, il ventisei dicembre, anche se era un giorno di festa, avrebbero lavorato ugualmente; avevano il natale da portare a termine, non era finito, con il venticinque, ma sarebbe proseguito e il sei gennaio avrebbero dovuto consegnare le calze.
Così, la mattina si svegliarono un po’ più tardi rispetto ai giorni precedenti. Henry scese dal letto, si tolse il pigiama e guardò l’ora dal suo Iphone; erano le dieci passate. Si vestì velocemente e s’accorse che i suoi fratelli stavano ancora dormendo, così gli andò vicino e li svegliò uno per uno e dopo essersi vestiti, uscirono dalla loro camera per andare a fare colazione.
L’elfo cuoco non appena li vide comparire in cucina, gli sorrise.
«Avete dormito tanto?». Gli chiese.
«Sì, avevamo davvero tanto sonno». Gli rispose Henry.
«E gli altri?». Gli chiese Daniel.
«Sono tutti a preparare le calze». Gli rispose ancora l’elfo.
«Affamati?». Gli chiese scherzando.
I ragazzi si misero a sedere.
«Una fame da lupo!». Gli rispose Neal.
Così, l’elfo cuoco si diede subito da fare e preparò una colazione così buona da leccarsi i baffi. Prese il latte e glielo incominciò a scaldare.
Dopo pochi minuti, non appena incominciò a bollire, lo tolse dal fuoco e lo versò nelle tazze  e dopo, i ragazzi ci aggiunsero a loro piacimento il caffè e lo zuccherò.
«Cereali al cioccolato o briosce al cioccolato appena sfornate». Gli chiese.
I ragazzi non seppero resistere all’acquolina che gli era venuta in bocca e per questo, scelsero le briosce.
Quando finirono di mangiare, l’attenzione di Neal fu catturata da un  foglio piegato, che si trovava al centro del tavolo.
Mentre tutti i suoi fratelli parlavano con l’elfo cuoco, lui incuriosito prese quel foglio e lo aprì.
E quando vide quello che aveva davanti a se, gli incominciarono a tremare le mani e se non avesse retto bene quel foglio, gli sarebbe potuto cadere per terra.
Guardò ogni minimo particolare di quel disegno e dopo, passò le dita sul foglio, quasi come se potesse realmente toccare quello che vedeva davanti ai suoi occhi e che Henry aveva visto durante il suo sogno.
«Allora, andate ad aiutare la Befana?». Gli chiese l’elfo cuoco.
«Certo». Gli rispose Daniel
«Dovete andare a piedi, non ci sono più elfi in casa, sono tutti a lavorare per la Befana. Sapete, lei non è tanto in vena di lavorare; anche se non lo da a vedere, gli manca terribilmente Claus.
Non l’avete mai vista piangere, ma credetemi che dentro di se, è a pezzi. Per questo, tutti quanti, perfino i vostri genitori, sono andati ad aiutarla. E poi, non è rimasta nessuna macchina». Gli disse l’elfo cuoco.
«Nessun problema, andiamo a piedi, tanto conosciamo la strada». Gli rispose Daniel.
Dopo, tutti quanti smisero di parlare e finirono d’inzuppare l’ultimo pezzo di briosce nel latte e poi, bevvero tutto quello che era rimasto nella tazza.
Così, posarono le tazze sulla tavola e s’accorsero che Neal non aveva ancora finito la sua colazione, metà della sua briosce era sempre vicina alla sua tazza.
Lo guardarono attentamente e videro che aveva un espressione strana.
«Non hai fame? o ti sei imbambolato a guardare il mio disegno?». Gli chiese Henry, con un po’ d’ironia.
Neal alzò la testa dal disegno, fino a incontrare gli occhi di Henry.
«Io…». Disse Neal balbettando.
Posò il disegno sul tavolo.
«Ho fame». Disse dopo qualche secondo.
«Cos’è?». Chiese Neal a Henry.
«È il disegno del posto dove ho visto Claus rinchiuso». Gli rispose.
Così, anche Neal finì di fare colazione. Mentre si portava la tazza alla bocca, ogni tanto gli tremava la mano, rischiando così, di sporcarsi tutti i vestiti.
Dopo, tutti si misero a osservarlo e s’accorsero che si stava comportando in un modo strano; sembrava spaventato, ma non riuscivano a capire che cosa lo preoccupasse.
Neal, rivedeva nella sua mente il disegno che aveva fatto Henry; non riusciva toglierselo dalla mente. Più provava a non pensarci e più vedeva quel disegno davanti ai suoi occhi.
Quando tutti quanti finirono di fare colazione, s’alzarono da tavola per andare a prendere i loro giacchetti. Si dovevano coprire bene, perché fuori faceva molto freddo.
Presero le loro scope e uscirono di casa, salutando con un sorriso l’elfo cuoco, che in quel preciso istante, stava pulendo la cucina.
Così, s’incamminarono a piedi fino alla casa della Befana, che era vicina a quella di Claus. In alto, s’intravedeva il sole che veniva nascosto dalle nuvole e i pochi raggi che riuscivano a passare, illuminavano tutto lo splendido panorama dalla Lapponia, che vedevano davanti ai loro occhi.
Si trovavano in fila indiana: Henry, Neal, Daniel e William.
In quell’istante, non si parlavano, non avevano niente da dirsi, perché erano immersi nella magia del panorama mozzafiato della Lapponia. Alberi tipici della Lapponia, costeggiavano la strada che stavano percorrendo.
Quando iniziarono a passeggiare su una strada troppo trafficata, Henry prese la mano di suo fratello Neal; lui fece un salto, stava ancora pensando a quel disegno.
Non avrebbe mai voluto vederlo, invece l’aveva visto e gli aveva riportato a galla delle cose che avrebbe voluto dimenticare per sempre.
«Che c’è?». Gli chiese Henry.
«Niente». Gli rispose Neal e strinse ancora di più la mano di suo fratello. Il calore e la stretta della mano di Henry, lo facevano stare molto meglio.
Così, dopo una quindicina di minuti, arrivarono di fronte alla casa della Befana.
La sua casa non era per niente addobbata, se non per la ghirlanda che aveva messo fuori dalla porta. Nessuno poteva biasimarla, qualcuno aveva rapito suo marito. Tutti quanti riuscivano a capirla e a farla sorridere, per tirarla su di morale.
Stava portando avanti il suo lavoro, infatti, tutti quanti erano impegnanti a confezionare le calze.
Dopo essere entrati, si tolsero i giacchetti e andarono ad aiutare gli altri a confezionare le calze.
«La volete una tazza di tè caldo per riscaldarvi?, immagino che fuori faceva molto freddo». Gli chiese l’elfo cuoco.
I quattro ragazzi si misero a sedere e attesero di bere una bella tazza di tè caldo per riscaldarsi.
Mentre l’elfo cuoco stava aspettando che l’acqua bollisse per preparargli il te, li guardò negli occhi uno per uno. Erano uno più bello dell’altro, non solo per l’aspetto fisico, ma anche per quello che portavano dentro il loro cuore. Erano i ragazzi più buoni che quell’elfo avesse mai incontrato.
«La Befana è sempre più triste giorno dopo giorno. Per lei è davvero molto difficile svolgere il suo ruolo quest’anno, ma sa che lo deve  fare.
Proprio come Claus, crede molto nel suo lavoro». Disse l’elfo.
«Lo sappiamo». Disse Henry.
L’acqua che aveva messo dentro al bollitore aveva cominciato a bollire  e nell’aria si espanse una nube di vapore, che lentamente, saliva sempre più in alto. Così, spense il fornello, aprì le bustine del tè e le immerse per qualche minuto. L’acqua lentamente incominciò a tingersi, fino a diventare sempre più scura e assumere il colore marrone.
Mentre attendeva che il tè fosse pronto, si voltò verso i ragazzi, che stavano fermi sulle sedie nell’attesa di bere il tè.
«L’hanno trovato quel posto che hai disegnato, ne abbiamo parlato stamattina tutti insieme, perché Sulac ha ricevuto una chiamata dalla polizia». Disse L’elfo cuoco e poi, si voltò verso  la cucina e da uno sportello, prese quattro tazze e le portò sul tavolo.
Dopo, si voltò nuovamente verso la cucina, prese il bollitore con una spugnetta e versò il tè nelle loro tazze.
Neal aveva cominciato a tremare, quando l’elfo cuoco aveva parlato di quel disegno. Non se lo sapeva spiegare, ma quel disegno gli aveva messo una paura davvero molto intensa; non capiva il motivo, perché lui non aveva mai visto quel luogo.
“Se sono sicuro di non aver mai visto quel luogo, allora, come faccio ad avere paura?”. Pensò Neal nella sua mente.
Aveva così paura, che i suoi muscoli si erano messi a vibrare in un modo incontrollato. Il suo sguardo era perso nel vuoto e i suoi occhi lentamente, cominciarono a bagnarsi.

La mattina del ventisette dicembre, Sulac si era alzato molto presto per andare a raccontare al poliziotto, il sogno che aveva fatto Henry. Non era una cosa facile da dire e da spiegare, perché un adulto non è più in grado di sognare e di vedere le cose in modo irrazionale; accetta solo le cose che può vedere davanti ai suoi occhi.
Anche Sulac all’inizio, non credeva nelle capacità di Henry; ma con il tempo, era riuscito a credergli e ad apprezzarlo.
Così, dopo un abbondante colazione, si vestì e prese la macchina per  raggiungere la stazione di polizia.
Non aveva paura di raccontargli il sogno che aveva fatto Henry, perché nel caso in cui non gli avesse creduto, non avrebbe avuto niente da perdere. Così, si sintonizzò sulla sua stazione radio preferita; la musica era l’unica cosa in grado di rilassarlo e di dargli un senso di pace interiore.
Non pensava a niente e aveva la mente svuotata da ogni suo pensiero; dopo, nella sua mente, incominciò a vedere suo fratello come lo aveva visto Henry nel suo sogno. Gli mancava, gli mancava veramente tanto; quel senso di vuoto che sentiva nel suo cuore, gli faceva molto male.
Parcheggiò e s’avviò a piedi fino all’entrata dalla polizia. Tutti quanti, non appena aprì la porta, lo trattarono come se fosse entrato un dio. Lui era famoso, era a capo del mondo, ma non si sentiva così; era una persona come tutti gli altri, che aveva avuto il privilegio di salvare il mondo. S’avvicinò alla porta del poliziotto, che in quel preciso istante, stava lavorando al caso di Claus e bussò per educazione.
«Avanti». Disse il poliziotto.
Così, Sulac aprì la porta per entrare dentro la stanza.
«Buon giorno». Gli disse il poliziotto.
«Buon giorno anche a lei». Gli rispose Sulac.
Il poliziotto fece cenno a Sulac d’accomodarsi sulla sedia e così fece. Si lanciarono una serie di sguardi e nessuno dei due sembrava intenzionato a parlare.
Il poliziotto giocava con la penna, facendola rimbalzare sopra il tavolo.
«Non ci sono novità». Disse il poliziotto amareggiato.
«Mi dispiace ma non ci sono novità». Disse ancora, con molto rammarico. Infatti, la scomparsa di Claus aveva già fatto il giro del mondo e tutti i telegiornali, giornali cartacei e siti web, stavano seguendo con molto interesse questo caso.
«Non c’arrendiamo». Disse il poliziotto e dopo, preso da un attimo di grinta, tirò un pugno sul tavolo, che si mise a vibrare insieme a tutto quello che c’era sopra. A Sulac piaceva molto la determinazione di quel poliziotto, che non si arrendeva e trovava ancora più forza, quando non riusciva a risolvere il caso.
«Ha una mente aperta?». Chiese Sulac e attese in silenzio una risposta del poliziotto. In quell’istante, ci fu uno scambio di sguardi intensi tra il poliziotto e Sulac. Il poliziotto non riusciva a capire il senso della domanda che gli aveva rivolto Sulac.
«Certo!». Gli rispose il poliziotto, con un tono di voce deciso.
«Lo sa che l’anno scorso Henry, il nipote di Claus, ha sognato che mio fratello e grazie a questo, siamo riusciti a salvare il natale». Gli spiegò.
«Certo!, me lo ricordo!, ne parlavano ovunque». L’anno scorso, Henry era apparso su qualsiasi mezzo di condivisione: in televisione, su internet e sui giornali. Non si faceva altro che parlare di lui, per la sua bontà,  rispetto alla sua tenera età.
«Lui ha disegnato questo». Gli disse e dopo si alzò leggermente dalla sedia, per prendere il disegno che aveva messo nella tasca dietro dei pantaloni.
Lo aprì e lo mise sopra il tavolo, per farlo vedere al poliziotto.
Il poliziotto, lo prese tra le mani, l’osservò attentamente e notò quello che vedevano tutti: Claus, legato, solo, ferito e stanco in uno sfondo che a nessuno sembrava familiare.
«Cos’è?». Chiese il poliziotto a Sulac, in quel momento stava tenendo la sua mente aperta a tutte le possibilità.
«È il disegno che ha fatto Henry. Può sembrare strano, ma Henry quando dorme è in grado di mettersi in contatto con le persone e vedere che cosa stanno facendo in quel preciso istante. È un sensitivo, credo». Gli spiegò Sulac.
Il poliziotto prese in mano quel disegno e l’osservò ancora più attentamente; probabilmente Claus si trova lì. L’avrebbero ritrovato e riportato a casa per festeggiare l’epifania.
Sì, c’è l’avrebbero messa tutta per trovarlo prima del sei gennaio e fargli festeggiare l’ultimo giorno di natale insieme alla sua famiglia.
“Claus, rappresenta il simbolo del natale e per questo, ha il diritto di festeggiarlo insieme alla sua famiglia e chiunque glielo abbia impedito, la pagherà molto cara”. Pensò il poliziotto nella sua mente.
«Ci hanno minacciato, prima ci hanno detto di non portare i regali per riavere Claus e quando si sono accorti che saremmo andati comunque avanti, mi hanno minacciato, chiedendomi di annullare tutte le riforme che avevo fatto». Gli spiegò Sulac.
Il  poliziotto si mise a pensare.
«L’indirizzo IP dei messaggi?». Gli chiese il poliziotto.
«È stato nascosto, gli elfi tecnologici di mio fratello ci hanno lavorato per tantissime ore, ma non c’è stato verso di sapere da dove provenissero quei messaggi». Gli spiegò Sulac.

Qualche giorno dopo, grazie al disegno di Henry, la polizia era riuscita a trovare il posto in cui tenevano rinchiuso Claus.
Così, non appena Sulac ricevette questa notizia, decise di andare insieme alla polizia a recuperare suo fratello; finalmente, sarebbe finito tutto e avrebbero smesso di soffrire.
Sulac chiamò il poliziotto per sapere l’indirizzo. Era molto lontano dalla casa di Claus, ma non gliene importava, per lui, sarebbe andato anche in capo al mondo.
Così, abbandonò il suo lavoro e senza dire niente a nessuno, andò in cucina a prendere alcune provviste e partì.
Mentre viaggiava, ascoltava la musica e a volte, cantava. La musica lo faceva rilassare; era teso e felice allo stesso tempo.
Non vedeva l’ora di riabbracciare suo fratello, già pregustava e s’immaginava il momento in cui si sarebbero rivisti.
Dopo qualche ora, arrivò a destinazione e trovò vicino a quella casa, tante auto della polizia, nascoste per non farsi vedere e non far scappare i rapitori.
Così, dei poliziotti specializzati entrarono dentro quella casa, s’avvicinarono alla porta e la spalancarono con un calcio. C’era molto buio, ma grazie alle luci che avevano sopra le pistole, riuscivano a vedere dove mettevano i loro piedi. Quei poliziotti erano ben protetti: avevano il casco in testa e il giubbotto antiproiettile.
Così, cominciarono a girare per quella casa, stanza dopo stanza, la controllarono tutta; era identica a come l’aveva disegnata Henry.
Finalmente, un poliziotto riuscì a trovare la stanza nella quale Henry aveva disegnato Claus. Quella porta era chiusa, così ci tirò un calciò e s’aprì all’istante. Prima d’aprirla, ci fu un particolare che lo mise in allarme, c’era troppo silenzio e se una persona che viene rapita sente del rumore, si mette a gridare per chiedere aiuto.
Velocemente, la porta s’aprì, andando a sbattere, contro il muro. Il poliziotto puntò la torcia in tutta quella stanza, ma s’accorse che era vuota, di Claus non c’era traccia, ne in quella stanza ne in tutta la casa.
Non c’era nessuno in quella casa, nemmeno i suoi rapitori.
Quel poliziotto uscì dalla casa e quando vide gli occhi speranzosi di Sulac, abbassò la testa verso il basso.
Lentamente, quel poliziotto s’avvicinò verso Sulac e gli mise una mano sulla spalla per consolarlo.
«Non l’abbiamo trovato». Gli disse amareggiato.
«Non c’era nessuno in quella casa, tuttavia, ci potrebbero essere degli indizi. Non ci arrenderemo, ritroveremo Claus». Aggiunse dopo, per fargli capire che c’era ancora speranza. Il poliziotto ci credeva davvero in quelle parole che gli aveva appena pronunciato.
Così, Sulac se ne andò un po’ triste, per non aver potuto riabbracciare suo fratello; ma non per questo aveva perso le speranze.

Neal cercò di controllarsi, non voleva piangere, non voleva avere più paura. Aveva avuto paura per un anno intero, un anno in cui era stato distante dalla sua famiglia.
Non aveva mai parlato a nessuno di quello che gli era successo durante quell’anno in cui era stato distante dalla sua famiglia.
Si mise a sorseggiare il tè, dopo averlo zuccherato, si portò la tazza alle labbra e lo bevve a piccoli sorsi. Era caldo e in quel preciso istante, aveva bisogno di qualcosa di caldo.
Prima o poi, quando si sarebbe sentito pronto, gli avrebbe parlato di quel disegno, gli avrebbe spiegato come mai gli aveva messo così tanta paura.
S’alzarono da tavola e andarono a confezionare le calze. Li trovarono tutti quanti a lavorare. Lo sapevano già come si faceva.
Una manciata di caramelle e cioccolate, uno o due frutti e carbone vero per chi si era comportato veramente male.
Passarono così tutta la mattinata, ognuno nel proprio banco a preparare le calze. Era un lavoro noioso, ma la musica riusciva a fargli passare meglio il tempo, ogni tanto chiacchieravano. L’unica che chiacchierava poco era la Befana, che lavorava per inerzia e soltanto perché lo doveva fare. Il sei gennaio s’avvicinava sempre più e loro avevano ancora molto da fare.
Avevano ancora molte calze da confezionare. Una volta finite di confezionare le calze, un elfo le prendeva e le metteva nei sacchi che i ragazzi avrebbero dovuto portare in spalla. Passarono così tutta la giornata, fino a quando alla sera, smisero di lavorare, mangiarono, si fecero una doccia e andarono subito a dormire.

Il giorno seguente, Henry si svegliò, non appena dal suo avvolgibile s’incominciarono a intravedere dei fasci di luce, che lentamente, stavano invadendo sempre di più quella stanza.
Aprì gli occhi e si guardò in torno a se, c’era tanto silenzio. Sbadigliò, stiracchiò le braccia, uscì dal letto e dopo si vestì, restando a sedere sul letto.
Non appena si fu vestito, si vide comparire il suo fratellino Neal, ancora in pigiama e con il suo pupazzo preferito tra le mani.
«Che c’è?». Gli chiese Henry, non appena s’accorse che gli voleva dire qualcosa.
Neal, guardò in faccia suo fratello, voleva parlargli, dirgli perché il questi giorni era strano, ma non ci era riuscito e non ci riusciva nemmeno in quel preciso instante.
Sospirò e aprì la bocca, per provargli a parlare, ma non gli uscivano le parole.
Così Henry, capendolo, con un braccio lo fece avvicinare a se, lo strinse forte e gli fece appoggiare la testa sulla sua spalla.
«Non fa niente». Gli disse Henry, mentre gli accarezzava la spalla.
«Quando vorrai parlarmi, sarò qui». Gli disse ancora Henry.
Rimasero ancora abbracciati per qualche secondo e dopo, si sciolsero da quell’abbraccio pieno d’amore.
Neal guardò in faccia Henry e annuì.
Così, insieme uscirono da quella camera e andarono in cucina per fare colazione. Neal prese la mano del fratello e la strinse tra la sua; in quell’istante si sentiva al sicuro.

Per tutte le altre persone, sarebbe stato molto allegro e divertente festeggiare l’avvento del nuovo anno, ma per Henry non sarebbe stato così. Allo scoccare della mezzanotte, tutti quanti avrebbero fatto scoppiare i fuochi d’artificio e avrebbero anche aperto milioni di bottiglie di spumante.
Quest’anno non lo sentivano il natale e tutte le altre festività natalizie; queste feste, senza l’allegria di suo nonno, non erano la stessa cosa.
Avrebbero festeggiato ugualmente, ma non sarebbe stata la stessa cosa; la loro mente avrebbe pensato al capodanno, ma il loro cuore, sarebbe stato fisso su Claus, solo, nel giorno in cui sarebbe dovuto stare a festeggiare insieme alla sua famiglia.

Henry, si  ricordava ancora come avevano festeggiato lo scorso capodanno. Come poteva scordarselo, se quel giorno aveva dato una svolta alla sua vita. Quel giorno era stato un punto d’inizio e un modo per ricominciare a vivere la sua vita. Un anno fa, quando ripensava a Neal, si sentiva in colpa per il suo rapimento; adesso, quando pensava a suo fratello sorrideva ed era felice.
Come poteva dimenticarsi il momento in cui Claus l’aveva spinto a raccontargli tutto quello che teneva nascosto dentro di se; in quel momento, era come se fosse rinato.

Fecero colazione e dopo, andarono subito a casa della Befana per confezionare le ultime calze e preparare tutti gli ultimi preparativi.
I ragazzi si divertivano molto a confezionare le calze e ogni tanto, la Befana gli faceva mangiare una caramella.
Anche se la Befana non lo dava a vedere, ogni giorno che passava era sempre più triste; ma doveva essere forte, doveva mandare avanti tutta la baracca, la sua missione era importante come quella di Claus.
Ogni tanto, smettevano di riempire le calze, per volare con le scope; quest’anno, lo avrebbero fatto loro il giro del mondo e per questo, dovevano tenersi in allenamento.

La scomparsa di Claus, se da un lato era triste per i suoi amici e parenti, dall’altro, era riuscita a riunire tutte le persone distanti tra loro, che grazie ai social network, riuscivano a parlare di Claus.
In tutto il mondo, le persone si riunivano la sera e facevano una fiaccolata in onore di Claus, tante persone diverse per lingua e cultura, che volevano tutte quante la stessa cosa: “Claus libero”.
Era questa cosa che gridavano tutte le persone. Se su internet cercavi Claus, venivano fuori tutte le immagini con scritto: “Claus libero”.
Era molto bello pensare che al mondo esistesse una persona in grado di unire tante persone, in nome della pace e dell’amore che provano verso di lui.

Così, tra riempire le calze e volare per tenersi in allenamento, quella giornata era già finita. Erano sereni e felici, avevano dato il massimo di loro stessi. Così, se ne andarono dalla casa della Befana, un po’ prima, rispetto ai giorni passati.
Non appena arrivarono a casa di Claus, tutti quanti andarono a farsi una doccia, per togliersi il sudore e la stanchezza di tutto il giorno di duro lavoro.
Questo era un giorno diverso da tutti gli altri, certo, era il trentuno dicembre, ma avrebbero festeggiato, perché anche Claus, li avrebbe voluti vedere felici e sorridenti.

Così, tutta la città della Lapponia aveva deciso di festeggiare; infatti, tutti i cuochi della città si erano messi d’accordo per cucinare il cibo che tutte le persone avrebbero mangiato, per festeggiare la notte di capodanno e l’avvento del nuovo anno.
Alcuni venditori di tavoli e sedie,  li avevano messi a disposizione, per la festa di capo d’anno.
Così, nel primo pomeriggio, alcune persone con il furgone erano andate a prendere i tavoli e le sedie.
Una volta arrivati in piazza, che era così enorme da riuscire a contenere tutte le persone della Lapponia, scesero tutte le cose che avevano sul loro furgone e incominciarono a montare tutti i tavoli e le sedie.
Altre persone si misero a ricoprire tutti quei tavoli con delle tovaglie di carta e sopra ogni tavolo misero piatti, bicchieri, tovaglioli e posate di plastica.
Addobbarono perfino qualche albero, con delle palline e luci colorate, per rendere quella piazza ancora più natalizia. Le luci di natale si riflettevano sulla neve e tutto ciò, rendeva l’ambiente ancora più suggestivo e magico.

Dopo essersi asciugati, indossarono i loro vestiti migliori e si pettinarono, mettendosi il gel tra i capelli, creando delle così delle acconciature davvero mozzafiato e in grado di valorizzargli i tratti dei loro volti.
Il loro look era davvero mozzafiato; avevano indossato dei pantaloni di jeans tutti strappati, delle scarpe da tennis, una maglia a maniche lunghe bianca con sopra una giacca nera.
Quando finirono di prepararsi, uscirono dalla loro camera,  s’avvicinarono alla porta e uscirono di casa.
Tutti quanti, tranne Neal e Sulac, salirono in macchina, per raggiungere la piazza dove si sarebbero radunati, per iniziare una fiaccolata per chiedere la liberazione di Claus.
Nel frattempo, Neal era voluto rimanere con Sulac a pulire la cucina, perché dopo aver pranzato, tutti quanti, perfino tutti gli elfi di Claus, erano andati ad aiutare la Befana a confezionare le calze.
La befana era molto giù di corda, perché era molto preoccupata per il rapimento di Claus e gli mancava terribilmente, tuttavia, aveva ancora speranza, l’avrebbero ritrovato.
Così, mentre Sulac aveva incominciato a riempire la buca dell’acquaio con dell’acqua calda e a metterci del sapone, il piccolo Neal che a malapena arrivava al tavolo della cucina, gli portava tutti i piatti, i bicchieri e le posate sporche.
Quando finì, prese una sedia e la portò sotto all’acquaio in modo da arrivare a sciacquare tutto quello che gli passava Sulac e poi, lo poggiava sullo scolapiatti che si trovava alla sua sinistra.
Mentre rigovernavano, la televisione era accesa e gli faceva compagnia.
In televisione stavano trasmettendo il telegiornale, una donna dalla voce molto piacevole stava raccontando tutti i fatti di cronaca che erano accaduti durante il giorno.
Neal sciacquò l’ultimo piatto e poi, si voltò verso la tavola e s’accorse di aver lasciato una teglia di vetro.
Così, scese dalla sedia e s’avvicinò verso il tavolo; nel frattempo, al telegiornale, stavano parlando di altre notizie.
Prese in mano la teglia di vetro, quando tutto d’un tratto, fu catturato da una voce che proveniva dalla televisione; in quel preciso istante, non riusciva a capire per quale motivo ne era attratto, alzò la testa e si voltò verso la televisione. Quando vide quella persona che parlava, capì.
«Ancora lui!». Esclamò Sulac, mentre lavava un piatto.
«Certa gente è così ostinata, da non capire che per sconfiggere questa crisi abbiamo bisogno di cambiamenti radicali». Borbottò tra di se Sulac, mentre stava sciacquando il piatto che aveva appena lavato.
Neal rimase per qualche istante immobile a fissare quella persona che stava parlando in televisione.
All’inizio, nei primi istanti, non capì per quale motivo si sentiva attratto da quella voce e dalla fisionomia di quella persona.
Poi capì e in quel preciso istante, spalancò gli occhi e rivide le scene della sua vita come se fosse un film che stava scorrendo velocemente e all’incontrario, fino a fermarsi, a quando aveva già sentito e intravisto quella persona.
Finalmente capì e il suo corpo incominciò a tremare. Fu immediatamente, colto da dei brividi freddi. Le sue mani cominciarono a tremare sempre di più e la teglia di vetro, cominciò a tremare insieme a lui e pochi secondi dopo, gli cadde di mano. Velocemente, cadde per terra, si ruppe all’stante e i vetri si sparsero per tutta la casa, come quando una goccia cade in una pozza d’acqua, creando così tutte quelle increspature.
Non appena Sulac sentì quel rumore, si voltò verso Neal e lo vide immobile a fissare la televisione.
Sembrava che avesse paura, infatti tremava come una foglia.
Gli andò vicino e per essere alla sua altezza, s’abbassò sui suoi ginocchi. Lo guardò intensamente negli occhi, che stavano diventando sempre più lucidi.
«Ché c’è?, ti sei fatto male?». Gli chiese, era davvero molto preoccupato per lui. Neal non gli rispondeva, era come paralizzato.
Allora, Sulac gli prese le braccia e gli tirò su le maniche per vedere se si era tagliato, dopo, fece la stessa cosa con le gambe.
Niente, non c’erano tracce di ferite e di questo, ne fu sollevato.
Allora, lo strinse forte a se, s’alzò in piedi, continuandolo ad abbracciare e ad accarezzargli dolcemente la schiena. Neal si sentì protetto tra quelle braccia e appoggiò la testolina sulla spalla di Sulac.
Neal chiuse gli occhi e abbracciò Sulac con le sue braccine; in quel preciso istante, non aveva più paura.
«Lui…». Neal si decise a parlare, anche se la sua voce era molto tremolante, aveva ancora molta paura, nonostante, si sentisse al sicuro.
Dopo, alzò un braccio e puntò il dito contro il politico che stava parlando in televisione.
Sulac si voltò e s’accorse che Neal stava puntando quel politico che era sempre stato contrario alle sue idee per sconfiggere questa crisi.
«È stato… è stato lui a…». Neal non riusciva a finire quella frase e Sulac, attese in silenzio che lui finisse di parlare.
«Quando un anno fa mi avevano rapito, ho sentito la sua voce, ne sono sicuro, non l’ho mai visto bene, perché quando lo sentivo era sempre al buio, ma quando adesso, l’ho sentito in televisione ho riconosciuto la sua voce e la sua fisionomia». Gli disse Neal.
Sulac smise d’abbracciarlo e spostò una sedia dal tavolo per farlo sedere, dopo, ne prese un’altra e si mise a sedere di fronte a lui.
Questa notizia aveva sconvolto anche Sulac; certo sapeva, che quel politico, era molto ostile alle sue idee rivoluzionare, ma non lo avrebbe mai creduto, capace di una crudeltà così grande.
«Racconta un po’». Gli disse Sulac.
«Quella persona non stava sempre nel posto dove mi avevano rapito, veniva ogni tanto, perché erano altre le persone che si occupavano di me». Gli disse e dopo, lo guardò negli occhi, per vedere se gli credeva.
Sulac si mise a pensare, c’era qualcosa che gli sfuggiva in quel preciso momento; dentro di se sentiva che questa cosa era molto importante.
«Allora, non sono stati loro, quelli che abbiamo trovato nella casa dove ti avevano rapito». Disse Sulac.
«Mi metteva molto paura quando quel signore parlava, aveva un tono di voce così… cattivo…. come i personaggi cattivi dei miei cartoni preferiti». Disse Neal.
«Allora il tuo rapimento non è stato per soldi, ma cosa c’entra il tuo rapimento con quel politico. Non ci capisco più niente». Disse Sulac.
Sulac s’alzò dalla sedia e allungò un braccio per far capire a Neal di scendere dalla sedia. Neal fece un salto e in pochi secondi si ritrovò per terra. Si mise in piedi a guardare Sulac negli occhi: in quel preciso istante, non aveva più paura. Qualunque cosa gli fosse successo, Neal non sarebbe stato solo, aveva tutta la sua famiglia vicina.
Sulac continuò a tenere per mano Neal.
«Andiamo a divertirci, è capodanno». Disse Sulac.
«Certo zio». Gli rispose Neal con un sorriso.
«Veramente, bis zio. Sono un bis zio molto giovane». Disse Sulac vaneggiandosi di se stesso.
«Qualunque cosa sei, io ti voglio bene». Gli rispose Neal con un sorriso.
Così, mano nella mano, uscirono dalla casa di Claus e raggiunsero gli altri che si trovavano nella piazza.
Quando gli altri li videro arrivare gli sorrisero. Tutte le persone si erano radunate in quella piazza addobbata a festa, dove avrebbero festeggiato insieme l’arrivo del nuovo anno.
Tutte le persone presenti in quella piazza presero una candela e l’accesero, così, lentamente, si formò una fila di tanti puntini luminosi. Incominciarono a camminare, mentre una persona li riprendeva, per poi mettere il video sul canale YouTube di Claus, per far sapere a chi l’aveva rapito che loro non si sarebbero mai arresi e che Claus non l’avrebbero mai abbandonato.
Continuarono a camminare per circa un oretta, seguendo un percorso che avevano già prestabilito.
Dopo, ritornarono alla piazza e si misero a ballare e a cantare le tipiche canzoni di natale.
Pochi minuti prima del nuovo anno, tutti quanti misero in un piattino i dolci tipici natalizi. Allo scoccare della mezzanotte, alcune persone cominciarono a stappare le bottiglie dello spumante. Brindarono e tutti quanti espressero il desiderio di riabbracciare Claus.
Ancora una volta, Henry e la sua famiglia, non espressero desideri futili, chiedevano soltanto di riavere Claus. L’anno scorso avevano espresso il desiderio di riavere Neal e si era avverato; forse c’era speranza anche per Claus.
Pochi minuti dopo la mezzanotte, dei fuochi d’artificio s’incominciarono ad alzare nel cielo, illuminandolo, così, di mille forme e colori, che rendevano il panorama ancora più mozzafiato.
Continuarono a festeggiare per tutta la notte.
Sulac, si mise a sedere e ripensò a quello che gli aveva detto Neal, ma non riusciva a trovare un collegamento; dopo, si mise a controllare la posta elettronica e come un lampo di genio, in pochi secondi capì tutto; era tutto chiaro.

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