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mercoledì 10 dicembre 2014

IT'S CHRISTMAS TIME PARTE 2: SCOPERTA #3

DISCLAIMER:
È assolutamente vietato copiare il contenuto dei post incentrati sulle mie storie. Tuttavia potete copiare la sinossi e condividere sui vostri blog la data d'uscita dei capitoli successivi.

Per leggere i capitoli della prima parte, clicca qui.

Per leggere il secondo capitolo di It's christmas time parte 2, clicca qui.

"Ecco il terzo capitolo.
SE TI E' PIACIUTA QUESTA STORIA, CONDIVIDILA, PER FARLA CONOSCERE ANCHE AI TUOI AMICI.
Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Non perdete il QUARTO CAPITOLO, IL 14 DICEMBRE ORE 21:00"

CAPITOLO 3: SCOPERTA

La primavera era passata lasciandosi, così, alle spalle tutta la bellezza dello sfociare della natura primaverile; quei colori, che, quasi per magia, prendono vita, rendendo il panorama ancora più mozzafiato.
Anche l’estate ha la sua magia, il mare, il sole e gli amici. È anche molto bella la pioggia estiva e il profumo che emana quando arriva a contatto con la terra.

Era passato molto tempo, da quando Henry aveva visto Claus, gli mancava, gli mancava davvero tanto.
Gli mancava il calore della sua pelle, quando lo teneva stretto a se; gli bastava chiudere gli occhi per ricordare l’ultimo abbraccio che gli aveva dato. Gli bastava chiudere gli occhi, per vedere l’immagine di Claus sorridente; a volte, placava la sua malinconia e altre volte, non gli bastava e il senso di vuoto che sentiva dentro al suo cuore, rimaneva costante fino a quando la sua mente si dimenticava di quel pensiero.
Claus lo capiva con un solo sguardo; questa era una delle cose che più gli piacevano di lui; riusciva a leggergli dentro, come se fosse un libro aperto. 

Non solo rimasero in contatto con Claus, ma anche con Gabriel e Clary.
L’amicizia con i figli di Claus, aumentava giorno dopo giorno.
Durante questi mesi, l’amicizia tra Clary e William era diventata sempre più profonda. Passavano ore a parlare e quando Henry entrava in camera, William lo mandava sempre via.
L’estate era appena iniziata.
La vita dei quattro ragazzi veniva completamente stravolta in questi tre mesi: pace, tranquillità, mare e soprattutto niente scuola.
La scuola piaceva a tutti e quattro i ragazzi, ma a giugno, sentivano il bisogno di staccare la spina.
Erano passati tutti quanti con il massimo dei voti; certo, poi c’era quella materia verso la quale erano più portati e quella che gli piaceva di meno.
Erano come una squadra e s’aiutavano persino nei compiti; per loro, chiedere aiuto, non era un segno di debolezza, ma bensì era un segno di forza capire i propri limiti.
La loro vita cambiava molto in estate, andavano a letto più tardi, perché alla sera gli piaceva stare svegli fino a mezzanotte a usare il computer. La mattina potevano dormire di più.
In genere, tendevano a fare tutti i compiti che gli avevano assegnato nel mese di Giugno, per poi essere liberi per il resto dei giorni che gli rimaneva.
Henry impiegava molto tempo a rispondere a tutti gli ammiratori che gli scrivevano attraverso la sua pagina facebook. Impiegava delle ore a rispondere a tutti, ma non era tempo perso.

“Ciao,
Grazie a te ho potuto festeggiare il natale”.

Gli scrisse un bambino che aveva all’incirca l’età di suo fratello Neal.

“Ciao,
Grazie a te ho potuto festeggiare il natale insieme a mia moglie e i miei bellissimi bambini.
Senza di te non avrei potuto regalargli niente”.

Gli scrisse un adulto. Ricevere un e-mail di complimenti da parte di un adulto era diverso rispetto a quella di un bambino o di un ragazzo. L’adulto lo faceva sentire ancora più fiero per quello che aveva fatto.

Anche per Claus era arrivata l’estate e a differenza dei ragazzi, per lui voleva dire riposo assoluto, visto che già da settembre avrebbe dovuto cominciare a lavorare al natale 2014. Gli piaceva stare seduto sulla veranda a leggere un libro e sorseggiare il tè fatto in casa.
In Lapponia, il tempo era cambiato, anche se non faceva caldo come dove abitava Henry.

Claus, a differenza delle altre persone, non gli piaceva tanto il mare; lui era più un tipo da montagna.
Non sopportava il caldo del mare, il senso di sudore che gli faceva sentire la pelle appiccicata e la sabbia che gli si appiccicava addosso dopo che aveva fatto il bagno e quando volava con il vento.
C’era stato più volte al mare, perché i suoi figli l’adoravano, infatti, ironicamente, per questa cosa, a volte, si domandava se fossero davvero i suoi figli.
Ma subito dopo aver pensato questa cosa, sorrideva sempre; ma certo che erano i suoi figli. Gli bastava chiudere gli occhi per vedere le immagini dei suoi figli al mare; a volte, quando gli prendeva la nostalgia dei vecchi tempi riguardava gli album delle fotografie.
Fin da piccoli, gli aveva insegnato ad amare la montagna e le camminate immerse nella natura. Gli aveva insegnato tutto: come sapersi orientare con una bussola, saper seguire i sentieri e capire quando davanti a loro c’era un pericolo, ma soprattutto, gli aveva insegnato una cosa importante, il rispetto della natura, che poi si era trasformato anche nel rispetto delle persone.
Gli piaceva portarsi il pranzo al sacco e con uno zaino in spalla, avventurarsi in montagna, dove la natura si era svegliata alla fine dell’inverno.
A volte gli piaceva mettersi sotto a un albero, appoggiarsi con la testa al tronco e mettersi a dormire, mentre il vento faceva ondeggiare gli alberi e spostare l’ombra.
Prima di dormire, con gli occhi chiusi, riusciva sempre a percepire tutte quelle piccole cose che non riusciva a notare quando osservava con i suoi occhi. Gli piaceva quando una folata di vento, faceva muovere tutta la natura che lo circondava, andando, così a incrementare l’odore che sentiva attraverso il suo naso.
In quel preciso istante, svuotava la mente e non pensava a niente; all’istante svanivano tutti i suoi problemi.
Ci passava giornate intere, per poi, tornare al calar del sole, cenare e andare a farsi una bella dormita.

Sulac era sempre più impegnato nel suo lavoro di politico o come gli piaceva chiamare “la sua missione”.
Certo, nella sua vita, non faceva solo quello, altrimenti sarebbe impazzito; ogni tanto, si concedeva una pausa, per prendere in mano un libro e leggerlo. Aveva moltissimi hobby e a lui, come a Claus, gli piaceva la montagna.
Più si guardava dentro e più si rendeva conto, del percorso stupendo che aveva fatto. Era partito dal basso e piano piano, aveva conquistato la fiducia delle persone che lo avevano votato, per farlo stare li, dov’era adesso. Forse, il fatto di essere il fratello di Claus, l’aveva aiutato, gli aveva dato una spinta, perché tutti quanti conoscevano bene la bontà di suo fratello; ma, alla fine era stato lui a darsi la spinta finale e a far capire alle persone che il mondo poteva essere diverso, in fondo, bastava solamente volerlo.
Tante volte aveva ricevuto delle minacce, per le sue idee rivoluzionarie, ma lui, non s’era mai lasciato condizionare. Lo sapeva bene che era pericoloso, ma anche se aveva paura, non avrebbe mai mollato la sua battaglia.
Un grosso cambiamento, porta sempre caos e persone in disaccordo con le nuove regole. Anche i più grandi rivoluzionari della storia avevano dovuto soffrire per raggiungere i loro intenti e lui, non sarebbe stato da meno.
Era da un po’ di tempo che non riceveva minacce.
Come tutte le mattine, dopo aver fatto colazione, aveva l’abitudine di controllare la posta elettronica.
Così, accese il modem e poi il computer e quando fu connesso a internet, aprì il programma di posta elettronica.
Tanti persone che lo stimavano gli mandavano ringraziamenti, c’era anche chi lo criticava in modo costruttivo; lui riusciva a imparare molto da queste persone.
Tra le centinaia di e-mail, fu colpito da una in particolare, perché il nome era strano, con caratteri e numeri.

“Smettila con le tue manovre per combattere la crisi o te ne pentirai”.

Era un e-mail strana, non era sicuro, ma probabilmente non avrebbe potuto scoprire il mittente, perché chi l’aveva mandata, sicuramente aveva fatto in modo da non farsi scoprire; non era nemmeno firmata.
A un primo istante, non appena lesse quell’e-mail, il suo cuore incominciò a battere più forte. Chiuse gli occhi per qualche istante e dopo, si rilassò completamente.
Si mise il cuore in pace, non aveva paura, non aveva paura di niente e di nessuno. Lui avrebbe sconfitto la crisi.
Non aveva paura per se o per la sua vita, ma per i suoi parenti, i suoi amici e la famiglia di Henry.
In questi mesi aveva portato avanti le sue idee, andando così a migliorare la situazione economica delle persone. La strada era ancora lunga, in salita e piena di ostacoli, ma alla fine, alla fine di tutto, ci sarebbe stata la vittoria.

Anche l’estate stava avanzando sempre di più giorno dopo giorno; giugno e luglio, erano passati. Era ormai agosto e Sulac sarebbe andato in ferie, aveva assolutamente bisogno di staccare la spina e non pensare a niente, se non al divertimenti e al rilassamento.
Per questo decise di andare a passare il mese di agosto a casa di suo fratello.
A lui piaceva molto la montagna e quelle lunghe passeggiate immerse nella natura. Per questo, i due fratelli si volevano molto bene, avevano gli stessi interessi ed erano pronti a mettere i problemi degli altri davanti ai loro.
Fin da piccoli, il loro padre gli aveva insegnato a non essere egoisti e che nella vita bisogna, dare e non solo avere; che poi, Claus, aveva tramandato anche ai suoi figli.
Il trentuno di luglio, dopo aver smesso di lavorare, andò subito a casa a preparare la valigia, per poi prendere il volo, che lo avrebbe portato in Lapponia.

Claus si trovava nella sua veranda e accanto a lui c’era il suo elfo contabile. Sorseggiava un tè freddo, sul calar del sole.
«Secondo te come andrà questo natale?». Chiese Claus all’elfo contabile. L’elfo contabile si era assopito e stava quasi per entrare nel mondo dei sogni. Aprì gli occhi e si voltò verso Claus.
«Se ti dico che sarà rosa e fiori, ti direi una bugia. Le politiche intraprese da tuo fratello ci aiuteranno molto, ma non saranno sufficienti a coprire tutti i nostri problemi, ci vorrà del tempo per rimettere in piedi l’economia». Gli disse.
Claus stette in silenzio e si mise a osservare il panorama mozzafiato che vedeva davanti a se.
«Andrà meglio rispetto all’anno scorso?». Gli chiese.
«Sì, certo che andrà meglio». Disse l’elfo contabile. Dopo smise di parlare ed entrò in casa per andare a prendere il suo tablet.
Quando rientrò nella veranda, si mise nuovamente a sedere.
«Guarda qui». Gli disse e dopo, gli passò il tablet.
Claus si mise a leggere le e-mail.
«Vedi, le persone ci stanno donando dei soldi. Ancora una volta, l’idea di Henry è stata geniale». Gli disse l’elfo contabile con un sorriso.
«Sì, Henry è davvero un ragazzo speciale». Disse Claus.
«Lo è». Ammise anche l’elfo contabile.
Smisero di parlare per qualche istante.
«Mi manca, è da pasqua che non lo vedo. Ha volte ho la sensazione di di… a volte vorrei…». Gli disse, senza continuare la frase.
«Che cosa?». Gli chiese l’elfo.
«Niente… lascia perdere». Disse Claus, che dentro di se sapeva che cosa voleva; voleva una cosa che anche con tutta la buona volontà era impossibile da realizzare.
Chiuse gli occhi, per rilassarsi e cercare di scacciare dalla mente quel pensiero che fino a pochi secondi fa, era dentro la sua testa.

Quando Sulac arrivò da suo fratello, suonò e dopo, Claus gli venne incontro per aprirgli il cancello.
Nel silenzio più assoluto, s’abbracciarono; finalmente erano insieme, dopo molti mesi nei quali erano dovuti stare separati.
«Ciao». Gli disse Sulac, dopo essersi sciolto dall’abbraccio di suo fratello.
«Ciao anche a te, ci divertiremo molto quest’estate». Gli disse Claus con un sorriso.
«Già». Gli rispose anche Sulac con un sorriso.
Passò tutti i giorni insieme a Claus, cercando anche di aiutare l’elfo contabile, per gestire al meglio i soldi da destinare al natale.
Infatti, una parte dei soldi sarebbero stati destinati all’acquisto delle materie prime e un’altra parte, all’acquisto dei regali già costruiti.
Passò tutto il mese facendo passeggiate in montagna con il fratello e andando a fare il bagno al lago.
Gli piaceva molto di più il lago rispetto al mare, perché li si trovava completamente circondato dalla natura e dal silenzio più assoluto.
Piano piano, i giorni passavano, forse troppo in fretta rispetto a quelli lavorativi; perché quando ci di diverte il tempo vola.

Finalmente era arrivato agosto anche per Henry e la sua famiglia; loro erano abituati ad andare in campeggio per tutto il mese.
L’anno passato, non erano andati in vacanza, saltando così questa tradizione, perché l’assenza di Neal, in qualche modo, gli aveva tolto il sorriso e la voglia di vivere.
Da sempre, il mese di luglio era destinato a fare una lista di tutte le cose da portare via.
Di solito era sempre la loro madre che si occupava della lista, si metteva li, a sedere sul tavolo della cucina e con carta e penna, appuntava tutto quello che gli sarebbe servito.
Poi, s’annotava su un altro foglio tutte le cose che avrebbero dovuto comprare, sia le cose da mangiare e che le cose da campeggio.

Una settimana prima di partire i ragazzi e la loro madre avevano l’abitudine di andare a fare la spesa, per comprare tutti gli alimenti che gli sarebbero serviti durante il mese d’agosto che avrebbero trascorso in campeggio.
Poi andavano in un negozio specializzato in oggetti da campeggio e compravano tutto il necessario.
Così alla mattina, dopo aver fatto colazione, si vestirono per poi, andare i vari negozi in macchina.
«Voi guidare tu?». Disse la loro madre a William e lui non si fece ripetere due volte quelle parole.
La madre gli lanciò le chiavi e lui le prese al volo.
Gli altri ragazzi si misero a sedere dietro e la loro madre davanti nel posto da passeggero.
«Sono sicuro che non c’arriveremo mai al supermercato!». Disse Henry, sorridendo alle sue stesse parole.
Anche William si mise a sorridere.
«Malfidato!, io so guidare e da quasi un anno che ho la patente!». Gli rispose.
«Io non mi fido». Disse Henry.
«Io non mi fido». Dissero insieme i tre ragazzi.
«Io, invece, mi fido di lui». Disse la loro madre.
Così, accese il motore e attraversò la strada per immettersi nella corsia. Guidava veramente bene, ma era ancora troppo teso; una cosa che con il tempo gli sarebbe passata.
In una decina di minuti arrivarono al supermercato, William parcheggiò e dopo, scesero dalla macchina per andare a prendere un carrello.
William guardò la macchina parcheggiata.
«Guarda che parcheggio perfetto». Disse William a Henry e dopo, gli fece una pernacchia.
«Lo devo ammettere sei bravo, ti ho sottovalutato». Disse Henry con sorriso, dopo fece un salto e gli scompigliò i capelli, una cosa che William odiava.
«Ehi!». Esclamò William e dopo, si risistemò i capelli.
Entrarono nel supermercato e cominciarono a fare il giro per mettere tutte le cose che gli sarebbero servite nel carrello.
«Che cosa ne pensi dei figli di Claus e del fatto che siamo diventati molto amici con loro?». Chiese Daniel alla sua mamma.
«Penso che siano dei bravi ragazzi». Gli rispose la loro madre.
«E di Clary?». Le chiese William alla mamma.
«È una ragazza davvero brava e carina». Gli disse la madre.
Finirono di fare tutta la spesa e di comparare tutto quello che avevano scritto nella loro lista e poi, tornarono a casa.

Il giorno prima di partire, si misero a preparare le valigie e dopo,  il loro padre mise tutte le cose nella macchina. Era un’impresa trovare il giusto incastro, per farci entrare tutte le cose che dovevano portare via.
La sera prima di partire, andarono a mangiare molto presto, per poi, andare a dormire alle otto e partire di notte e non trovare il traffico per la strada.
I quattro ragazzi non riuscivano ad addormentarsi, perché l’euforia scatenata dalla vacanza prendeva il sopravvento sul loro sonno.
Alla fine, dopo essersi rigirati nel letto, s’addormentarono per poche ore. Non appena suonò la sveglia, s’alzarono, fecero colazione, si lavarono e si vestirono.
«Pronti?». Gli disse il loro padre ai suoi figli.
I quattro ragazzi si misero a sbadigliare.
«Sì». Gli risposero con gli occhi ancora chiusi e assonnati.
Salirono in macchina e partirono. I ragazzi non appena si misero a sedere, dopo qualche minuto chiusero gli occhi e il sonno prese il sopravvento su di loro. Dopo qualche ora arrivarono a destinazione.

Non appena arrivarono, incominciarono a svuotare la macchina e a montare le tende; per i ragazzi era un gioco da ragazzi, tanto che sarebbero riusciti a montarle anche a occhi chiusi.
Nel giro di un oretta avevano montato le tende, posizionato il fornello per cuocere il cibo e messo apposto tutte le altre cose che avevano portato con se.
Mentre il resto della famiglia faceva queste cose più pesanti, il piccolo Neal si era messo a gonfiare, il gommone, il materassino e i materassi per dormire. Per lui era un lavoro veramente divertente, anche se a volte si stancava e si doveva fermare per qualche minuto.
Quando finirono di montare tutto, i quattro ragazzi si misero il costume, una maglia e un paio di ciabatte e s’avviarono, correndo fino all’entrata del campeggio.
Quando arrivarono, si fermarono e  si misero ad attendere i figli di Clary e Gabriel.
Non appena li videro sbucare dal cancello, gli andarono incontro correndo e senza lasciargli il tempo di entrare nel campeggio, gli andarono in contro e gli saltarono addosso.
Dopo, s’abbracciarono e si salutarono; non si vedevano da pasqua. 
I quattro ragazzi gli fecero strada e gli mostrarono il campeggio che per loro era quasi una seconda casa.
Li portarono fino alla tenda per fargli posare le valigie. Dopo, i due fratelli si misero i costumi e tutti insieme andarono al mare.
«Andiamo al mare, ci vediamo dopo». Disse Henry ai suoi genitori.
Sua madre gli sorrise.
Presero il gommone, i remi, il materassino e una palla e s’incamminarono lungo la strada fatta di sassi e con molti alberi ai lati, che si muovevano per il vento e sprigionavano un odore molto intenso.
Tutti quanti sorridevano e saltellavano; erano molto felici.
Henry aiutava Neal a portare il gommone, appoggiandolo sulla spalla e reggendolo con le mani al lato opposto rispetto al fratello.
William portava il materassino da solo, quando tutto a un tratto, s’avvicinò Clary e lo aiutò e dopo, gli strinse una mano tra le sue e anche lui ricambiò il gesto.
Gabriel portava il pallone e Daniel portava i remi.
Quando incominciarono a intravedere il mare, si misero a gridare come dei pazzi. Si misero a correre, per arrivare più in fretta alla spiaggia e buttarsi nell’acqua, che era così bella, limpida e cristallina; l’euforia gli aveva impossessati.
Posarono tutte le cose a terra e incominciarono a spalmarsi la crema solare.
Tutti quanti presero il tubetto della crema e incominciarono a spalmarselo sulle gambe, sulle braccia, sul torace, sulla pancia e si facevano aiutare dagli altri per spalmarselo sulla schiena.
Clary si voltò verso William, lo guardò e dopo, gli fece un sorriso.
«Mi puoi spalmare la crema sulla schiena?». Gli chiese Clary.
«Certo». Le rispose e diventò subito rosso in volto.
Aprì il tubetto e incominciò a spalmare la crema sulla schiena di lei. Era davvero emozionato, tanto che la sua mano che era a contatto con la pelle di lei, incominciò a tremare.
«Finito». Le disse, quando finì di spalmare la crema.
Lei si voltò verso di lui e gli sorrise ancora, dopo di spostò verso di lui e gli diede un bacio sulla guancia.
«Grazie». Gli disse e dopo, gli sorrise.
Lui si alzò e allungò una mano per invitarla ad alzarsi da terra.

Non potevano fare ancora il bagno, perché avevano mangiato da poco e sapevano benissimo che era pericoloso entrare in acqua durante la digestione.
Non avevano mai fatto capricci su questa cosa, perché i loro genitori, fin da piccoli, gli avevano spiegato il pericolo che avrebbero corso.
«Che facciamo?». Chiese Clary, mentre, nel frattempo aveva preso una mano di William.
«Giochiamo a Pallavolo». Disse Henry.
«Non abbiamo una rete». Gli fece notare Gabriel.
«La vado a prendere». Gli rispose.
Si mise a corre e s’allontanò dai suoi amici per raggiungere la tenda. Non appena la raggiunse, si mise a cercare la rete e quando la trovò, si mise a nuovamente a correre verso il mare, quando tutto a un tratto si fermò.
«Henry!». Si sentì chiamare, così si voltò e si guardò alle spalle.
«Ciao». Disse Henry, incominciò a camminare verso quella ragazza.
«Anche tu qui». Gli disse June.
«Quest’anno siamo venuti anche noi, sai com’è, abbiamo ritrovato Neal e siamo più felici». Le disse Henry.
June, era una ragazza che aveva la sua stessa età, era la sua migliore amica, quella che però vedeva poche volte all’anno, per via della distanza che li separava.
«Voi venire con noi a giocare?». Le chiese.
«Certo!, ho sentito quello che hai fatto a natale. È stato fantastico». Gli disse.
«Non ho fatto niente di speciale ho fatto solo quello che sentivo di dover fare». Le disse e poco dopo, le sue guance incominciarono a diventare rosse.
Lei fece un passò avanti e l’abbracciò e anche lui fece altrettanto, ricambiando quel gesto d’affetto.
Lei era davvero carina, tanto che si era preso un cotta per lei; non si poteva dire che si era innamorato, perché a quell’età non sapeva bene che cosa fosse in realtà l’amore, quel sentimento che ti fa sentire completamente pazzo per un persona, che quando non lo senti ti manca come l’aria che respiri e quando è li con te, il tuo cuore batte all’impazzata.
Si sciolsero dall’abbraccio e lui la prese per mano e insieme s’incamminarono fino al mare.

Quando arrivarono al mare, tutti quanti si voltarono verso di Henry e June e notarono che lui la teneva per mano; erano davvero teneri.
Montarono la rete e dopo,  infilarono i due bastoni sulla sabbia.
Si divisero in due squadre: William, Clary e Gabriel contro Henry, June, Daniel e Neal.
Incominciarono a giocare, quando, tutto a un tratto, Daniel si sentì chiamare.
«Ciao». Disse Rachel.
Lui si voltò verso di lei e per questo, rischiò di prendere una pallonata in faccia. La palla, gli passò molto vicino alla faccia.
Tutti quanti smisero di giocare e si voltarono verso quella ragazza.
«Vuoi giocare?». Le chiese.
«Certo». Gli sorrise.
Henry la guardò all’improvviso, gli venne in mente come mai era un volto che gli sembrava di aver già visto.
«Ma… te… sei una compagna di classe di Daniel?». Le chiese Henry.
«Sì». Gli rispose.
«Ma tu sei quella che…». Disse.
«Ma lei è quella che…». Disse rivolto a Daniel.
Daniel s’avvicinò a Henry e gli mise una mano sulla bocca per farlo stare zitto. Nessuno s’accorse di questo suo gesto.
«Continuate a giocare, noi torniamo subito». Disse Daniel.
Daniel spinse Henry e lo trascinò verso la pineta. Quando fu certo di essere abbastanza lontano dai suoi amici, parlò a suo fratello.
«È quella che mi piace, che mi piace davvero tanto, ma non lo devi dire». Gli disse.
«Va bene». Disse Henry.
Ritornarono sulla spiaggia e si rimisero a giocare. Si divertivano come matti; saltavano, ridevano e facevano di tutto per fare punto all’avversario.
Continuarono a giocare per un’ora, non si stancavano mai e fecero molte partite. Ormai non era più una partita, era diventata una guerra; nessuno voleva perdere, ma prima o poi, ci sarebbe stato un vincitore.
Tirarono la palla più forte e uscì fuori dal campo, fino ad arrivare alla pineta.
«Vado io». Gridò Clary e si mise a correre verso la pineta. Si guardò intorno, ma non la vide.
William, lasciò tutti quanti e andò anche lui nella pineta. Si guardò intorno per cercarla e quando la vide, il suo cuore cominciò a battere all’impazzata. Non vedeva altro che lei, non s’era mai sentito così con nessun altra ragazza. La prima volta che l’aveva vista, l’aveva considerata la ragazza più bella che avesse mai visto. Gli piaceva molto, ma in quel primo istante non s’era innamorato di lei. Solo con il tempo e con tutte quelle chiacchierate che facevano, i suoi sentimenti erano cambiati, non voleva che lei; però era molto timido e spaventato dal fatto che lei non provasse le stesse cose che provava lui.
La vide vicino alla palla e s’avvicinò in silenzio. Fu per magia, s’abbassarono insieme e si toccarono la mano.
Quell’istante fu magico, alzarono i loro volti e si guardarono negli occhi, si capivano senza neanche parlare; era come se l’uno riuscisse a guardare dentro l’anima dell’altro.
Per puro istinto, William spostò la palla e s’avvicinò ancora di più a Clary, la strinse a se, abbracciandola in un abbraccio molto dolce e intimo. In tutto questo, non interruppe mai il contatto visivo e avvicinò le labbra a quelle di lei, fino a toccargliele con le proprie. In quel momento, non si sentiva più William, era un momento così magico.
Incominciò così a baciarla, quando si staccarono avevano entrambi il fiatone.
«Ti amo». Le disse William.
«Ti amo anch’io». Gli rispose e si rimisero a baciarsi.

Una mattina Henry si svegliò e s’accorse che nella sua tenda non c’era nessuno, tutti i suoi fratelli erano già usciti e probabilmente erano già andati al mare.
S’alzò, si mise a sedere, si tolse le coperte di dosso e si stropicciò gli occhi. S’alzò i piedi, ma era ancora assonnato; si spogliò, si tolse il pigiama per indossare il costume.
Quando uscì dalla tenda fu investito da un’aria calda e attraverso l’olfatto riuscì a sentire il profumo del mare.
Dopo aver fatto colazione con latte e cereali, andò in bagno a lavarsi. Quando ritornò alla tenda, per prendere il canotto e andare al mare, sentì qualcuno russare. S’incamminò e quando entrò nella tenda dei suoi genitori, vide suo padre che stava russando.
Sorrise e s’avvicinò alla porta della tenda per uscire, quando tutto a un tratto, si voltò verso suo padre non appena lo sentì parlare.
Suo padre aveva l’abitudine di parlare nel sonno e per questo, tutto il resto della famiglia lo prendevano sempre in giro. Quando dormiva a volte diceva cose compromettenti e imbarazzati.

«Sono solo…». Disse.
“Che cosa?”. Pensò Henry e s’avvicinò al materasso del padre, senza però  svegliarlo; era curioso di sapere quello che voleva dire.
Non sapeva però che quello che avrebbe sentito, avrebbe cambiato per sempre la sua vita; ma Henry era fatto così, a lui piaceva sfidare il rischio.
«Loro non sono, loro…». Disse ancora suo padre; questa sembrava davvero una frase senza senso.
“Ma che sta a di!”. Pensò Henry.
«Li devo trovare…». Disse.
“Trovare cosa?”. Si chiese Henry. Sorrise e dopo si voltò per incamminarsi vero la porta della tenda.
Era già uscito, quando sentì dire una semplice parola, una parola che in quel preciso istante, gli fece battere il cuore all’impazzata, il suo respiro diventò affannato e dai suoi occhi incominciarono a scendere delle lacrime.
«I miei genitori naturali». Disse infine suo padre. Suo padre continuò a dormire come se niente fosse, si voltò e diede le spalle a Henry.
“I suoi genitori naturali”. Quelle parole risuonavano nella mente del piccolo Henry. Dentro di se sentiva mille emozioni contrastanti: era triste, rimasto scioccato e soprattutto, si sentiva preso in giro dal padre, che per tutta la sua vita non aveva fatto altro che mentirgli.
Rimase immobile per qualche secondo, pietrificato e imprigionato in quelle parole. Il suo sguardo era perso nel vuoto e privo di felicità.
Con molta fatica uscì dalla tenda e si mise a correre, voleva scappare via; avrebbe voluto non sapere e allo stesso tempo era felice di essere venuto a conoscenza di questa notizia; era un altro peso che doveva portare dentro di se e molto probabilmente, era l’unico della famiglia che ne era a conoscenza.
Non si preoccupò nemmeno di legare il gommone all’albero, per impedirgli di volare.
“Chi sono i miei nonni?, come farò a comportarmi in modo normale con i mie nonni, visto che in realtà non lo sono?”. Si chiese, ma in quell’istante non si seppe dare una risposta.
Voleva scappare, scappare lontano, anche se sapeva benissimo che non poteva scappare dalla verità che gli era venuta addosso come un treno in corsa.
S’allontanò in un posto in cui nessuno l’avrebbe trovato. Non voleva farsi trovare, aveva bisogno di riflettere e questa cosa, la doveva fare da solo.
Ma più pensava e più non capiva, era come una rete infinita che s’intrecciava sempre di più.
Forse in quel momento, non aveva bisogno di capire, ma di una spalla su cui piangere.
Prese il cellulare dalla tasca e lo accese per chiamare la sua migliore amica, quella per la quale aveva una cotta.
«Sono Henry puoi venire qui, mi trovo nel giardino, quello con tanti alberi». Le disse Henry.
«Certo». Gli rispose June.
Henry chiuse la chiamata e si rimise il telefono nella tasca.
Dopo cinque minuti vide arrivare June, lei si fermò davanti a lui e lo osservò in silenzio.
«Che c’è?». Gli chiese e s’abbasso fino a mettersi a sedere a fianco a lui. Henry non le rispose e rimase per un istante con gli occhi chiusi, quando li riaprì, gli incominciarono a scendere delle lacrime, che con il passare del tempo diventavano sempre più dirompenti.
Prendendola alla sprovvista, appoggiò la testa sulla sua spalla e l’abbracciò.
Per un primo istante, rimase un po’ sbalordita di questo suo comportamento, poi lo abbracciò anche lei.
Aveva capito che non voleva parlare e che aveva soltanto bisogno di una spalla su cui piangere. Dolcemente, gli incominciò ad accarezzare la  testa.

William, Daniel, Neal e la loro madre, tornarono alla tenda per prendere il canotto e i remi. Videro il loro padre che stava facendo colazione.
«Dov’è Henry?». Chiese la loro madre al padre.
«Non lo so, quando mi sono svegliato non c’era. Credevo che fosse con voi?». Le disse.
«No, non era con noi». Gli rispose.

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