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lunedì 13 gennaio 2014

IT'S CHRISTMAS TIME PARTE 1: 31 DICEMBRE: NON TUTTO È PERDUTO #9

DISCLAIMER:
È assolutamente vietato copiare il contenuto dei post incentrati sulle mie storie. Tuttavia potete copiare la sinossi e condividere sui vostri blog la data d'uscita dei capitoli successivi.

"Scusatemi per il ritardo di qualche settimana, ma durante le feste non trovavo il tempo e in più non riuscivo a scrivere, (avevo il  blocco dello scrittore). Ecco la penultima puntata, molto bella e commovente in qualche punto. Mi è venuta molto lunga, spero che vi piaccia.
Fatemi sapere se vi piace questa storia, se avete da criticare, fatelo pure, perché le critiche sono costruttive. Mi piacerebbe ricevere un vostro giudizio. Grazie per aver letto questa storia. Ciao e non perdetevi la prossima puntata il 19 gennaio".

PER LEGGERE L'OTTAVA PARTE DI “IT'S CHRISTMAS TIME ” CLICCA QUI.

CAPITOLO 9: 31 DICEMBRE: NON TUTTO È PERDUTO

«Ora andiamo a riposarci, qualche ora?». Disse Claus.
«Certo». Dissero i ragazzi, dopo aver sbadigliato; ora i loro occhi erano molto stanchi e anche se tentavano di tenerli aperti, si stavano lentamente chiudendo.
Quando atterrarono con la slitta, si videro arrivare in contro un paio di elfi che si sarebbero occupati delle renne e della slitta. Anche le renne erano stanche, avevano dovuto trascinare la slitta carica di regali e con loro sopra.
Scesero dalla slitta e s’avviarono, quasi a tentoni, fino alla loro camera. Prima che entrassero nelle loro camere, Claus gli parlò.
«Buon natale!, ragazzi, festeggeremo stasera».
I tre ragazzi annuirono e dopo, entrarono nella loro camera e chiusero la porta.
Si spogliarono, si misero il pigiama e si buttarono sotto le coperte. Chiusero gli occhi ed entrarono nel mondo dei sogni. Erano così stanchi, che dopo, qualche minuto, s’addormentarono senza nemmeno accorgenerse. 

Nel frattempo l’elfo cuoco aveva già comprato tutte le cose che sarebbero state necessarie per preparare la cena di natale.
Aveva intenzione di preparare un antipasto, delle lasagne, del magro, delle patate arrosto e una bella insalata.
Era già dal primo pomeriggio che stava dietro ai fornelli e per fortuna, aveva anche alcuni elfi a cui piaceva cucinare, che si erano resi disponibili per aiutarlo.

Quando tutti e quattro s’alzarono andarono in cucina.  Si sentivano riposati, anche se gli ci sarebbero voluti più giorni per dire di essere carichi al cento per cento.

Henry passò dalla sala e si mise a guardare l’albero che avevano fatto, che al buio era ancora più suggestivo.
Poi guardò a terra e vide che c’erano dei regali, li prese in mano e s’accorse che c’erano scritti i loro nomi.
Rimase sorpreso e qualche istante dopo, sorrise dalla gioia, c’erano tanti pacchi e tutti da scartare per scoprire che cosa contenevano.
Allora, corse fino alla cucina per poter parlare con Claus.
«Ci hai fatto dei regali?». Gli chiese Henry.
«Certo, perché non avrei dovuto e con voi non ho badato a spese, visto l’aiuto che mi avete dato». Gli rispose.
«Ma noi non l’abbiamo fatto perché volevamo dei regali, ma perché ci sembrava la cosa giusta da fare». Gli disse Henry.
Claus sorrise e dopo, gli parlò direttamente con il suo cuore.
«Faccio i regali a tutto il mondo, perché non avrei dovuto farli a voi, che mi avete aiutato così tanto». Gli disse e in quell’istante, chiuse gli occhi. Mille emozioni stavano passando nel suo cuore; quando li riaprì, erano leggermente velati dalle lacrime.
Lentamente s’avvicinò ai ragazzi e allargò le braccia per stringerli, in un abbraccio pieno d’amore. S’era affezionato a quei ragazzi, come se fossero figli suoi.
Era un abbraccio pieno di calore e d’amore. Era da tanto tempo che i tre ragazzi non ricevevano un abbraccio così dai loro genitori, perché il destino crudele, li aveva messi di fronte a qualcosa che aveva distrutto quell’armonia della loro famiglia.
«Vi voglio bene!, ragazzi. Come se foste miei parenti». Disse Claus con il volto appoggiato, alle spalle dei ragazzi.
«Anche noi». Dissero in coro i ragazzi.
Dopo, si sciolsero dall’abbraccio e si guardarono per un istante, in un modo veramente profondo.
«Non è il legame di sangue a legare una famiglia». Disse William.
«Sei come uno zio». Disse Henry.
Claus accennò un sorriso e dopo, annuì.
Si misero a sedere e si trovarono di fronte a un tavolo imbandito a festa.
Oltre alla tovaglia rossa e i tovaglioli abbinati, c’era un centro tavola con delle candele rosse e sulla base c’erano delle pigne dorate.
C’era anche un buon profumino nell’aria, sia di cibo e sia delle candele accese. C’era un’aria di natale.
Dopo, pochi minuti entrò anche Sulac e s’accorse che erano davvero felici.
«Che è successo?». Gli chiese.
Tutti quattro alzarono le spalle, come per dirgli che non era successo niente.
«Ci siamo detti che ci vogliamo bene». Disse Claus.
Sulac sorrise e subito dopo, si mise a sedere e anche lui attese che l’elfo cuoco, mettesse il cibo nei piatti.
Incominciarono a mangiare, tutto quanto era squisito e la magia del natale rendeva la cena ancora più bella e magica.
Mangiarono tutto quanto, l’antipasto, il primo il secondo e il contorno, arrivando perfino a leccarsi i baffi.
L’elfo cuoco aveva addirittura preparato, i dolci di natale fatti in casa.

Dopo aver mangiato, si recarono fino alla sala e si misero a sedere su un tappeto, che si trovava al centro della stanza, vicino all’albero.
Non accesero la luce, perché il camino acceso riusciva a illuminare tutta la stanza, rendendola ancora più suggestiva.
Claus, come suo fratello, se ne stava in piedi.

In tutti questi giorni passati insieme a quei ragazzi, Claus si era reso conto, che Henry era strano.
Più lo osservava e più si rendeva conto che c’era qualcosa che non andava in lui. Non sapeva nemmeno darsi una spiegazione, perché era come se l’anima di Henry, per quanto splendente, fosse accecata dalle tenebre.
Non lo dava a vedere questo suo malessere, ma era come se cercasse di camuffare il suo malessere in allegria.
Tuttavia, un occhio più attento, poteva notare questo suo malessere.
Era un bambino felice e sorridente, come era giusto alla sua età; però, aveva una strana sensazione, che si confermava sempre di più, giorno dopo giorno.
Era come se indossasse una maschera.
Mentre lo guardava ridere e scherzare con i suoi fratelli, aveva preso una decisione: l’avrebbe aiutato a superare questo dolore che teneva rinchiuso dentro il suo cuore.
L’avrebbe aiutato, non perché si sentiva in dovere di farlo, perché lui l’aveva aiutato a salvare il natale, ma perché lui era Babbo natale e non sopportava di vedere la sofferenza negli occhi degl’altri.
«Possiamo aprirli?». Gli chiese Henry.
«Certo». Gli disse Claus con un sorriso.
Henry prese in mano il suo regalo e dopo aver tolto il nastro, incominciò a strapparlo, con quella curiosità bambinesca.
Dopo aver tirato fuori il suo regalo sorrise a Claus, tuttavia, era un sorriso, che a uno sguardo ben attento, poteva percepire che quella era un espressione, che nel silenzio chiedeva aiuto.
Anche i suoi fratelli scartarono i loro regali e dopo, continuarono a festeggiare fino a notte tarda, cantando, ballando e giocando a tombola e carte.

I loro genitori non erano riusciti a partire, perché come previsto dal bollettino meteo, gli aerei avevano subito grandi ritardi.
«Non possiamo partire». Disse il loro padre, mentre controllava il sito internet della compagnia aerea.
Dopo, si voltò verso la loro madre, che se ne stava in piedi nel salotto.
«Non è un problema». Gli rispose.
«Sicura?». Le chiese ancora.
«Certo, loro sono al sicuro».
Così, dopo molti anni decisero di festeggiare il natale da soli, senza nessun parente. In quella settimana riuscirono a ritrovarsi, come coppia.
A volte il destino è crudele e quasi a tradimento, ti porta via tutto quello che fino a poco prima davi per scontato.
A volte ti devi solo fermare e capire che nonostante nella vita accadano cose brutte, non te ne puoi dare una colpa, ma devi solo fare in modo che il tempo spazzi via le tue ferite.
Per loro non era un problema, perché sapevano che i loro figli erano al sicuro e che stavano facendo quello che era giusto fare.
Dopo qualche giorno, fecero le valigie per prepararsi a partire; erano felici, tanto che ogni volta che si guardavano negli occhi si sorridevano. Misero lo stretto necessario per passare pochi giorni insieme ai loro figli.
Al mattino dopo, non appena si svegliarono, fecero colazione e dopo essersi vestiti, andarono in aeroporto con il pullman.

I tre ragazzi, Claus e suo fratello dopo aver festeggiato andarono a dormire, sazi e felici.
Al mattino dopo, non appena si svegliarono fecero colazione.
«Non aiutiamo tua moglie?». Gli chiese Henry.
Claus posò la tazza sul tavolo e lo guardò in un modo perplesso e dopo, arricciò i sopraccigli.
«Mia moglie, ci sono abituato. Tutti quanti pensano che lei sia mia moglie». Gli disse.
«Non è tua moglie?». Gli chiese William.
«Certo, ma c’è anche chi pensa che non sia mia moglie; invece è mia moglie da tantissimi anni». Disse Claus.
«Allora, la befana è tua moglie?». Gli chiese Daniel.
«Certo, ma non è così brutta come viene rappresentata, per me è la donna più bella di tutto il mondo». Disse Claus, dopo s’alzò dalla sedia,  per andare nella sua camera.

I tre ragazzi tornarono nelle loro camere e non sapendo che cosa fare, decisero di controllare la posta di Claus e di rispondere a qualche messaggio.
Dopo befana, avrebbero ripreso l’aereo che gli avrebbe riportati dritti alle loro abitazioni. La pacchia sarebbe finita tra pochi giorni e come si sa, la befana  tutte le feste le porta via.
C’erano tantissimi messaggi, tutti positivi e tutti, che lo ringraziavano per aver potuto avere un regalo, che altrimenti non si sarebbero potuti permettere.
Risposero a tutti, c’erano tantissimi messaggi, ma erano anche in tre a rispondere.
Passarono tutta la mattinata a rispondere, non si stancavano mai, di rispondere ai commenti. Dopo un po’, Claus salì le scale, per arrivare  alla camera dei ragazzi.
Aprì la porta.
«Che fate?». Gli chiese, non appena vide che erano concentrati. Loro smisero di scrivere e si voltarono verso di lui.
«Stiamo rispondendo a tutte quelle persone che ti stanno ringraziando». Disse Henry.
Claus entrò nella stanza e si mise a fissare gli schermi dei computer. Era affascinato da questa tecnologia, che bastava un clic, per comunicare con tutto il mondo.
«Vuoi  rispondere anche te?». Gli chiese Henry.
«Certo, mi piacerebbe». Disse Claus, toccandosi la barba con le mani. La faccia di Claus era perplessa.
«Che c’è?». Gli chiese Daniel.
«Non so come si usano questi programmi». Disse un po’ imbarazzato.
Daniel s’alzò dalla sedia e gli sorrise, come per dirgli che non c’era nessun problema.
Prese un'altra sedia e la portò accanto alla sua, dopo si mise a sedere e invitò Claus a fare altrettanto.
«T’insegnerò tutto». Disse Daniel.
«Grazie». Gli rispose.
«Con lui vai sul sicuro, è il migliore in questo campo». Disse William e Henry annuì.
Così, tutto il resto della mattinata, William e Henry, continuarono a rispondere ai messaggi delle persone e Daniel spiegò a Claus, come funzionavano i social network.

Dopo una mattinata, Claus aveva imparato a usare i social network, perché Daniel non solo glieli spiegava, ma gli faceva anche provare come si utilizzavano.
Le prime volte che provava, ogni tanto si voltava verso Daniel, per chiedergli come proseguire.
Le volte dopo, capendo il procedimento, riuscì a farlo da solo.

Verso l’ora di pranzo, andarono in cucina per mangiare la pasta che gli aveva preparato l’elfo cuoco. Claus s’alzò dalla sedia.
«Andiamo?». Gli chiese, mentre metteva la sedia sotto il tavolo.
«Dove?». Gli chiese Henry, mentre lo guardava in modo perplesso.
«Ad aiutare mia moglie». Disse.
«Che figata!». Esclamò Henry.
I tre ragazzi s’alzarono da tavola, dopo aver mangiato una fetta di pandoro; non mangiarono tanto quel giorno, perché erano ancora molto sazi dal giorno precedente.

Tornarono in camera per vestirsi, prendere i loro cellulari e il portafoglio.
Dopo, scesero dalle scale e quando si ritrovarono all’ingresso, si trovarono di fronte Claus già vestito e con le chiavi in mano.
«Andiamo». Gli disse Claus e dopo, aprì la porta per uscire. Quando uscirono tutti e quattro, Claus chiuse la porta alle sue spalle.
Dopo s’avviarono fino al garage, dove teneva la sua macchina e il suo furgone.
Claus e William salirono davanti e Daniel e Henry salirono di dietro.
Claus, avviò il motore e dopo, fece marcia indietro per uscire dal garage.
Prese il telecomando per aprire il cancello.
«Sapete, in genere non aiuto mai mia moglie». Disse, mentre aspettava che il cancello s’aprisse. Dopo,  quando lo passò, cliccò nuovamente sul telecomando per farlo richiudere.
«Come mai?». Gli chiese Henry molto incuriosito, mentre si metteva la cintura di sicurezza.
«Io e mia moglie ci vogliamo bene, ma ognuno ha i suoi compiti: io penso al venticinque e lei pensa al sei gennaio. Questa volta l’aiuto soltanto, perché credo che a voi faccia piacere farlo». Disse Claus e dopo aver guardato che non venisse nessuna macchina, curvò e s’introdusse nella corsia della strada.
«Ci ha fatto molto piacere aiutare te e vogliamo aiutare anche lei». Disse Daniel con un sorriso.
«Non vedo l’ora di conoscerla!». Esclamò Henry.
Daniel gli tirò uno spintone.
«Bugiardo». Disse Daniel.
«Tu vuoi solo una razione gratis di dolce!, golosone!». Gli disse per scherzare.
«No, no… non è vero». Disse Henry e dopo fece una faccia arrabbiata, incrociò le braccia e mise le mani sotto le ascelle.
Claus li vide dallo specchietto retrovisore e si mise a sorridere: quei due erano davvero buffi.
«Su, su… non litigate, chi non è goloso di dolci». Disse.

Claus continuò a guidare fino a quando, dopo una decina di minuti raggiunsero la casa della Befana.
La Befana, a differenza di Claus, non aveva avuto problemi economici molto gravi, perché i dolci e la frutta, per quanto fossero rincarati, erano ancora comprabili.
Gli bastava non riempire del tutto le calze e il gioco era fatto.

Quando arrivarono davanti alla casa della Befana, scesero dalla macchina e Claus, suonò il campanello.
«Sono io». Disse al citofono.
Il cancello s’aprì e loro entrarono dentro.
La casa era leggermente più piccola rispetto a quella di Claus.
Sul davanti aveva un giardino molto curato, anche se in questo periodo dell’anno, era completamente coperto dalla neve.
La casa era molto graziosa e ben curata, infatti, si vedeva che ci abitava una donna.
Quando s’avvicinarono alla porta, qualcuno l’aprì e dopo, videro comparire una simpatica signora, che aveva l’età di Claus.
«Che ci fai qui?». Chiese la Befana a suo marito Claus.
«In genere, non ci vediamo fino al sette di gennaio?». Gli chiese.
Claus, s’avvicinò verso la porta e dopo le sorrise.
Salì gli scalini e quando si trovò di fronte a sua moglie, l’abbracciò stringendola stretta a se; in questi mesi gli era mancata molto, anche se ogni tanto si sentivano per telefono.
«È vero non ci vediamo e non ci aiutiamo, ma questi ragazzi volevano conoscerti e aiutarti a confezionare le calze». Le disse.
Dopo, i ragazzi s’avvicinarono agli scalini.
«Quello a destra, si chiama William, poi, subito accanto c’è Daniel e infine Henry, il più piccolino». Disse.
«Salve». Dissero i tre ragazzi insieme.
La Befana li guardò meglio e li osservò uno per uno.
«Così, voi sareste i ragazzi apparsi in televisione, quelli che hanno aiutato mio marito». Disse.
«Certo, sono loro e vogliono aiutare anche te».
La Befana si tolse dalla porta per farli entrare dentro la sua casa. I tre ragazzi e Claus s’avvicinarono alla porta per poi entrare dentro a quella casa.
Si guardarono attorno e s’accorsero che quella casa era completamente diversa da quella di Claus; si vedeva che c’era il tocco di una donna.
C’era molto ordine e ogni cosa era messa apposto.
Si tolsero i giacchetti e li appesero all’appendi abiti. Dopo, si guardarono attorno e sentirono l’odore della legna che stava scoppiettando.
S’incamminarono e dopo un lungo corridoio, si trovarono di fronte alla cucina, un ambiente molto grazioso.
Attaccate alla parete c’erano delle foto, con un bambino e una bambina.
Henry, incuriosito s’avvicinò a quelle foto per osservarle meglio, dopo, si voltò verso di Claus.
«Chi sono questi?». Gli chiese puntando un dito contro quelle foto.
«I miei figli». Gli rispose semplicemente.
«Allora non sei immortale?». Gli chiese ancora.
Claus sorrise prima di  rispondergli.
«No, ci succediamo di generazione in generazione. Anche se trovo che sia molto bello che le persone pensino che io sia immortale». Disse e dopo se ne andò dalla cucina per raggiungere la sala e da lì accedere alla porta che conduceva al laboratorio della Befana, dove lei, insieme agli elfi, confezionava le calze.
Anche la Befana era dal mese di novembre che confezionava le calze, ormai era quasi pronta, tra meno di una settimana sarebbe toccato a lei fare il giro della terra.
I ragazzi raggiunsero Claus nella stanza in cui lavorava la Befana.
«Ma, allora, dove sono i tuoi figli?». Gli chiese Daniel.
«Sono tutti  e due fuori a studiare e decidere se in futuro vorranno prendere il mio posto».

Giorno dopo giorno, i tre ragazzi insieme a Claus, continuarono ad andare a casa della Befana, per poterla aiutare, partivano la mattina e tornavano la sera.
Confezionavano le calze con tutti quei dolci  e quella frutta; perché la Befana credeva che nelle calze ci doveva essere anche la frutta.
La Befana era davvero crudele, perché  a chi era stato veramente cattivo non metteva il carbone dolce, ma quello che si usa per fare la brace.
Confezionavano tantissime calze al giorno, tutte diverse e di tantissimi colori.
Ogni tanto la Befana dava un dolcino a Henry e ai suoi fratelli. Facevano la pausa pranzo, anche la Befana aveva degli elfi che si occupavano della cucina.

Così passarono i giorni e finalmente arrivò il trentuno dicembre, la notte a cavallo tra i due anni.
Claus, festeggiava sempre con sua moglie e i suoi figli, che per l’occasione tornavano sempre a casa.

I suoi elfi si misero al lavoro per preparare un pranzo eccezionale per l’ultimo dell’anno.
Prepararono le lasagne e i cannelloni ripieni di ricotta e spinaci. Dopo, si misero a preparare il magro e degli spiedini, che li avrebbero accompagnati con un contorno di patate fritte e di insalata mista.
Infine, si misero a preparare dei crostini di terra e di mare.
Erano andati a fare la spesa il giorno prima, per poter cucinare subito dalla mattina del trentuno dicembre.
Non avevano pensato soltanto al cibo, ma anche a degli addobbi tutti rossi, dei palloncini colorati con scritto “buon anno” e dei festoni in cui c’era scritto “buon anno e felice anno nuovo”.
Passarono buona parte della mattinata e del pomeriggio a cucinare, mentre un elfo era impegnato ad addobbare quella stanza.

La mattina del trentuno il cellulare di William incominciò a squillare. Quando se ne accorse, lo tirò fuori dalla tasca dei pantaloni e vide comparire “mamma” sul display dello smartphone.
«È mamma!». Disse ai suoi fratelli.
Premette il pulsante per la risposta e si portò il cellulare all’orecchio.
«Pronto». Disse William con la voce un po’ tremolante.
«Siamo noi». Disse sua madre e dopo, per qualche istante, ci fu un attimo di silenzio.
«Siamo qui, in Lapponia…». Disse e subito dopo smise di parlare e sospirò, si sentiva che stava per piangere, perché il suo respiro era affannato.
«Ci dispiace per come ci siamo comportati con tuo fratello». Disse sua madre tutto d’un fiato.
«Aspetta che ti metto in vivavoce così sentono anche i miei fratelli». Gli disse e dopo, prese il cellulare e lo mise in modalità vivavoce.
«Mi dispiace Henry, avrei dovuto approvare la tua scelta di salvare il natale di tutto il mondo. Non è colpa tua, no… non lo è. È che il destino c’ha messo davanti a qualcosa di terribile e ognuno di noi, per quanto ci volessimo bene, teneva questo dolore dentro di se.
Ora l’abbiamo capito, è ora di lasciarci il passato alle spalle.
Sono fiera per quello che hai fatto, sono orgogliosa di te, hai dato il natale a chi non poteva permetterselo, hai dato un sorriso a chi, la crisi gli aveva portato via tutta quella voglia di vivere». Disse sua madre, che in quel momento, riuscì ad aprire il suo cuore come non era mai riuscita a fare.
«Grazie». Disse Henry tra le lacrime di gioia.
Nessuno parlò per qualche secondo.
«Come c’arriviamo a casa di Claus?». Gli chiesero e William gli spiegò tutto quanto.
Dopo, si rimisero a confezionare le calze.

Alla sera, si fecero una doccia, per mandare via tutta la stanchezza che avevano accumulato mentre confezionavano le calze.
Dopo, si vestirono e come tradizione, indossarono le mutande rosse; perché tutti dicono che portare qualcosa di quel colore sia di buon auspicio.
Si vestirono in un modo più elegante, mettendosi dei jeans blu, le scarpe da tennis, una t-shirt e la loro felpa migliore.

Dopo, uscirono dalla loro stanza per andare in cucina. Dalle scale riuscivano a sentire un profumino delizioso, che visto che erano quasi le otto, gli faceva venire l’acquolina e la fame.

Anche la sala era addobbata, perché più tardi avrebbero ballato e cantato fino e oltre alla mezzanotte.
Andarono in cucina e s’accorsero che oltre al tavolo, in cui cenavano sempre, c’erano anche altri tavoli, perché anche gli altri elfi avrebbero cenato e festeggiato con loro.
Si misero a sedere e dopo meno di cinque minuti, sentirono suonare il campanello, Henry s’alzò dalla sedia, per andare ad aprire la porta e dopo, avvolti nel buio della notte si ritrovò di fronte i suoi genitori.
Quando i suoi genitori videro Henry, incominciarono a sorridere, con un sorriso di pura gioia.
«Ciao». Disse Henry.
«Ciao, figliolo». Disse il suo padre e dopo, gli stropicciò i capelli in modo affettuoso.
Quando Henry abbracciò i suoi genitori, suo padre lo prese da sotto le ascelle per prenderlo in collo e dopo, lo strinse forte a se, in un abbraccio pieno d’amore.
Stringeva suo figlio, la cosa più importante della sua vita. Anche Henry, s’aggrappò stretto a suo padre, mettendogli le braccia intorno al collo.
Dopo, si sporse per dare un bacio sulla guancia a sua madre.
Scese dal padre e lo prese per mano e lo condusse fin dentro la casa, tirando leggermente il suo braccio.
I suo genitori appoggiarono le loro valigie nell’ingresso e dopo, senza neanche togliersi le giacche e tutta la lana che avevano addosso, s’incamminarono fino alla cucina per andare a salutare gli altri due figli che stavano seduti ad aspettare la cena.
Quando William e Daniel videro i loro genitori, s’alzarono e gli andarono in contro per salutarli.
Quando si ritrovarono a pochi centimetri da loro, tutti quanti s’abbracciarono in una stretta piena d’amore e d’affetto.
Sorridevano e a qualcuno di loro, incominciarono a scendere delle lacrime dalla gioia.

Dopo una decina di minuti, si misero a tavola e l’elfo cuoco incominciò a servire tutte le pietanze che aveva preparato.
Mentre mangiavano, chiacchieravano e Claus e suo fratello Sulac, conobbero meglio i genitori di quei ragazzi.
Capirono che erano delle persone speciali.

Dopo cena, Claus, s’alzò da tavola per andare al computer, doveva fare una cosa.
Tutti quanti erano a ballare e cantare in salotto, mentre Henry era rimasto in cucina a mangiare una fetta di pandoro e a guardare il suo cartone preferito.
Claus, tornò in cucina e si mise di fronte al ragazzo.
«È tua questa e-mail». Gli disse tutto d’un fiato e dopo, allungò il braccio per appoggiare il foglio davanti a lui.
Henry, smise di mangiare e s’alzò in piedi; dopo, con le mani tremolanti prese quel foglio.
Lo lesse, senza parlare.

“Sono…, non ti voglio dire chi sono voglio restare anonimo.
Io non voglio nessun regalo, non credo di meritarmelo, proprio perché un anno fa sono stato veramente cattivo, vorrei solo che mi riportassi indietro di un anno alla sera del 24 dicembre 2012”.

«Non è la tua e-mail, ma hai usato uno di quegli indirizzi a tempo?». Gli chiese.
Henry non parlò, ma la sua faccia paralava per lui.
Quegli occhi, così pieni di dolore, un dolore che un ragazzino della sua età non avrebbe mai dovuto provare.
La sua espressione facciale era gelida e priva d’emozioni.
Il suo piccolo cuoricino era invaso dalle tenebre e da un peso che ormai era diventato insopportabile.
Claus non sopportava di vederlo in quello stato, voleva sapere a tutti i costi che cosa gli era successo, lo voleva aiutare.
Dopo qualche istante, Henry, alzò gli occhi fino a incontrare quelli di Claus.
Lentamente gli occhi di Henry, si bagnarono, fino a quando incominciarono scendergli delle lacrime, per poi cadere sul foglio e sbavare l’inchiostro.
«Cosa ti è successo?». Gli chiese.
«Ti voglio aiutare». Gli disse dopo qualche secondo, quando s’accorse che non si decideva a parlare.
Successe tutto in un istante.
«Non puoi!... non puoi!...». Ripeté più volte con una voce impastata dalle  lacrime, delle lacrime che non avevano intenzione di fermarsi.
Fece cadere il foglio ai suoi piedi e dopo, si voltò, uscì dalla cucina, prese le scale fino a raggiungere la soffitta.
Quando entrò in soffitta, aprì una finestra e si mise a sedere sul davanzale. Davanti a se vedeva un panorama mozzafiato, ricoperto di neve e illuminato dalla luce della luna.
Le sue lacrime erano aumentate e il suo respiro era sempre più affannato. Non si era mai aperto in questo modo, non aveva mai spiegato come si sentiva e nessuno l’aveva mai capito. Nessuno aveva mai capito fino a che punto soffrisse.

Claus si mise a cercare Henry in tutte le stanze e alla fine, lo trovò e dopo, si mise a sedere accanto a lui.
Non gli parlò, aveva capito che doveva essere lui a iniziare il discorso, gli prese la testa e gliela appoggiò sul suo petto, in un modo veramente affettuoso.
Dopo, l’abbracciò stretto a se; gli voleva bene come se fosse un suo nipote.
In quel silenzio, Henry ritrovò una certa pace e serenità.
Dopo, una mezz’oretta, si sciolse dall’abbraccio, era pronto a parlare.

«Il natale nella nostra famiglia è sempre stata una bella festa, luci, alberi e regali. Facevamo sempre molte feste, ogni occasione era buona per stare con i parenti che non vedevamo spesso.
Un anno fa, nel duemiladodici, sarebbe toccato a noi fare la cena della vigilia. Sai, facciamo sempre a rotazione con i nostri parenti. Siamo una famiglia molto numerosa, ma ci vediamo poche volte all’anno, perché abitiamo molto distanti.
Io non vedevo l’ora di festeggiare insieme a tutti.
Era da una settimana che i miei genitori avevano pensato a quella festa. Avevano pensato a tutto: il cibo e gli addobbi.
Volevano che quella festa fosse speciale, avevano calcolato tutto. Tutto sarebbe stato perfetto, sarebbe stata la più bella festa della vigilia di natale che avessero mai organizzato.
Avevano passato tutta la mattinata tra pentole e padelle e io e i miei fratelli li avevamo aiutati a cucinare.
C’era un aria di festa, c’era un aria di natale, esattamente come nella tua casa.
Avevamo passato tutta la mattinata e la sera precedente a preparare la pasta fatta in casa». Dopo, smise di parlare e per un istante chiuse gli occhi, per cacciare indietro quelle lacrime che sentiva sempre più vicine.
Claus non gli disse niente e attese che lui riniziasse a parlare.
«Devi sapere che la nostra casa si trova vicino a un bosco e che ogni tanto usciamo a giocarci con la palla.
Conosciamo quel bosco, sappiamo muoverci e orientarci e ritrovare la strada di casa.
Per strana coincidenza, quel giorno i miei genitori erano andati a prendere i miei parenti all’aeroporto e mi avevano lasciato solo con i miei fratelli.
Noi continuammo a cucinare, io, Daniel, William e…
Insomma, scherzavamo.
Dopo qualche ora, Daniel e William, mi lasciarono solo a casa.
Non ero proprio solo, perché con me c’era il mio fratellino, Neal, di appena quattro anni».
Claus lo guardò negli occhi e gli disse una cosa sperando di non ferire i suoi sentimenti.
«La prima volta che ti ho visto, la prima volta che sei entrato nella mia casa, ho avuto l’impressione di averti già visto.
È ora ho capito il motivo…». Disse e dagli occhi di Claus incominciarono a scendere le lacrime, in un istante capì tutto.
«Ti ho visto al telegiornale un anno fa».
«Neal era un bambino di soli quattro anni, era bellissimo, con i capelli biondi, gli occhi azzurri ed era simpaticissimo.
Andava d’accordo con tutti, perché era molto bravo ed educato e io, ero il suo idolo.
Visto che avevamo finito di cucinare, decidemmo d’uscire fuori a giocare con la palla.
Giocammo per un po’, poi…, poi...». Non riusciva a continuare a parlare.
«Prenditi tutto il tempo che ti serve». Gli disse Claus per tranquillizzarlo.
Henry chiuse gli occhi e sospirò.
«All’improvviso mi scappò la pipi, così, lo lasciai nel bosco come avevo già fatto altre volte. Quando mi trovai vicino alla porta, mi voltai verso mio fratello e lo vidi giocare con la palla.
Quando tornai, non lo trovai più. Corsi e lo cercai in ogni buco di quel bosco arrivandomi quasi a perdere, perché stava scendendo la notte.
Non tornai a casa per un bel po’, ma rimasi seduto a terra a piangere, avevo già visto queste cose in tv, tutti quei bambini che non li avevano più trovati.
Quello fu un errore, perché in quel tempo lo potevano iniziare a cercare, il mio dolore, ha fatto perdere tempo prezioso.
Mi ritrovò mio fratello William e quando lo vidi, mi alzai in piedi e gli saltai in collo. Gli dissi tutto tra le lacrime e lui cercò di consolarmi, dicendo che non era colpa mia. Balle! Era tutta colpa mia. Se lo avessi portato con me in bagno  non sarebbe successo niente.
Nessuno mi ha mai dato la colpa, non mi hanno mai fatto sentire in colpa, ma io mi sento in colpa.
Ecco perché sento il bisogno d’aiutare gli altri e quasi un modo per farmi sentire meno in colpa e allo stesso tempo, redimermi. E come se, in qualche modo, aiutando gli altri aiutassi mio fratello».

Mentre di sopra Claus e Henry parlavano, di sotto, gli elfi, Sulac, William, Daniel e i loro genitori si stavano scatenando nelle danze. A volte, quando capitava la canzone giusta, facevano anche il trenino.
Si divertivano come pazzi, come era giusto che accadesse.
Si trovavano nell’unica notte magica a cavallo tra i due anni; una notte in cui tutti quanti potevano esprimere i loro desideri.
Tutti quanti avevano dei cappellini sulle teste, quelli di babbo natale e in più c’erano anche delle stelline che s’accendevano, che con la stanza al buio, rendevano l’ambiente molto suggestivo.
Avevano messo un tavolino al centro alla stanza, in cui l’elfo cuoco aveva tagliato le fette di pandoro e di panettone che avrebbero mangiato allo scoccare della mezzanotte.
Accanto ai dolci, c’erano varie bottiglie di spumante dolce, con dei bicchieri flute in cristallo, per bere e brindare al nuovo anno.
Non si resero conto dell’assenza di Claus e di Henry, fino a quando a pochi minuti da mezzanotte avrebbero dovuto aprire lo spumante.
«Dove sono Henry e Claus?». Chiese William a tutti quanti.
Tutti quanti si guardarono e dopo alzarono le spalle, come per dire che non lo sapevano.
«Non ce ne siamo accorti, ma ora che ci penso, durante la serata non li ho visti, eravamo così presi a festeggiare che non c’è ne siamo accorti». Disse Daniel.
«Andiamoli a cercare». Disse Sulac.
Dopo, tutti quanti lasciarono la sala per andarli a cercare. Guardarono in ogni stanza, ma non riuscivano a trovarli.
I loro genitori incominciarono a sudare freddo, i loro cuori stavano incominciando a battere all’impazzata.
In quell’istante si capirono anche senza parlare, era troppo vivido il brutto ricordo dell’anno passato.

William entrò nella loro camera e trovò Henry sdraiato sul suo letto, con le cuffie nell’orecchio, infatti anche da lontano riusciva a sentire la musica. Aveva portato le gambe all’altezza del petto e con le mani se le stringeva; insomma, si trovava in posizione fetale, come se volesse proteggersi da qualcosa.
Decise di non chiedergli niente e di lasciarlo in pace, ma il mattino dopo, gli avrebbe chiesto spiegazioni.
Chiuse la porta e dopo pochi passi, si ritrovò accanto alla camera di Claus.
Aprì la porta nella speranza di trovarlo lì, ma quando i suoi occhi s’abituarono al leggero buio della stanza, s’accorse, che non c’era nessuno.
Se ne stava per andare, quando un pezzo di carta attirò la sua attenzione. Tornò indietro per accendere la luce, prese il foglio in mano, lo aprì e lo lesse.

“Devo andare via”.

William chiamò tutti quanti e quando si trovarono in salotto, rassicurò subito i suoi genitori dicendo che Henry dormiva.
Gli mentì, non voleva farli preoccupare, ma il suo sesto senso, anche se non era sicuro, gli diceva che lui era triste e che sicuramente aveva pianto.
Dopo gli fece leggere il messaggio di Claus, ma nessuno seppe darsi una spiegazione.

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